L’OPERA AL VERO

Dopo il tirocinio da ritrattista “apocrifo” - con Reynolds a tenergli il pennello -, il primo dipinto che qualifichi Constable pittore pienamente autonomo, è La valle
di Dedham (1802) dove Sisley riconosce lo sfondo di Agar e l’angelo del Poussin alla National Gallery di Londra (sostanzialmente identica, la composizione sarà ripresa nel 1828 in quello che costituisce uno dei vertici della sua pittura). Qui i flessuosi alberi in primo piano inquadrano, accentuandone la profondità, il cammeo dell’estesa pianura dell’Essex con la torre quadrata della chiesa di Saint Mary e i campi in lontananza, avvertibili da un radente scalare di ocre e di verdi pallidi. L’artista osa mettere in scena “solo” un paesaggio, che per di più è un paesaggio solitario. Nessuna presenza, umana o animale, contamina la scena.
Il “manifesto” di Constable è già scritto qui, minimo e perentorio a un tempo.
Significativo che in più di metà della tela si estenda un cielo attraversato da nuvole alte e leggere. «È inconcepibile che un pittore trascuri il cielo. Il cielo non è un lenzuolo steso a fare da sfondo. È fonte di luce, rivela le cose, la loro distanza nello spazio», scriveva a Reinagle, quasi in uno sfogo mistico, «è molto difficile indicare una categoria di paesaggio in cui il cielo non ne sia l’elemento chiave, la misura della bilancia e il principale organo del sentimento».
Con modalità opposte, in Barche sull’Orwell (1806), sembra deciso a sbarazzarsi dei preconcetti d’uso alle mostre della Royal Academy. Lo scorcio marino emerge vitalissimo dalla pennellata nervosa e ignara di pentimenti - residuo delle tante esercitazioni eseguite nelle campagne di East Bergholt -, d’un vigore riassuntivo che sa fin troppo di impressionismo ante litteram.
Nel 1809, a trentatré anni, Constable si innamora di Maria Bicknell, nipote del parroco di East Bergholt, conosciuta fin da bambina. Sarà una relazione complicata per l’opposizione dei genitori di lei che ritengono Constable non al loro livello sociale e ancora economicamente incapace di mettere su famiglia. Solo nel 1816, alla morte dei genitori, potendo contare sull’eredità,
John sposa l’amatissima Maria. Trascorrono la luna di miele a Omington nel Dorset, presso l’amico arcidiacono John Fisher, cappellano e nipote del vescovo di Salisbury di cui nel 1811 Constable era stato ospite, e che dagli anni Venti in poi sarà uno dei suoi più assidui estimatori e “patrons”.
Qualche mese prima del matrimonio, su richiesta del generale Slater-Rebow, amico del padre, Constable realizza il quadro che anticipa quelle che saranno le coordinate fondamentali di tutta la sua opera. Wivehoe Park, dal nome della tenuta nell’Essex del committente, è un’ampia, ariosa messinscena degli elementi in natura. Invenzione felicissima per omogeneità pittorica, il quadro sembra dare al paesaggio l’investitura definitiva di realtà senza rimandi. La veduta nel suo insieme, così come il dettaglio più minuto, sono uniformati da un’estrema incisività descrittiva. Stereottica e insieme locale, la visione scorre senza soluzione di continuità dai campi ondulati al pascolo, dal bosco che fa da sfondo al fiume, fino al cielo che non riesce a rasserenarsi neppure sotto la luce più abbagliante. Il giorno è alla sua metà, che è l’ora di Constable, le ombre si sono fatte corte. Niente manca all’ameno ritratto bucolico. Al limite dell’oleografia, il soggetto è come riscattato dalla sua stessa spettacolare aderenza al vero. Tutto il resto è splendore, perfino edonismo narrativo. È in questa sfida alle categorie estetiche in uso che Constable vince la sua partita sui tabù della Royal Academy.


La valle di Dedham (1802); Londra, Victoria and Albert Museum.
Il quadro rappresenta una delle vedute tra le più care a Constable: la valle tra il Suffolk e l’Essex su cui ritornerà ventisei anni dopo.