Nel 1811 Constable era stato ospite di John Fisher, vescovo di Salisbury nel Wiltshire e aveva visitato la
cattedrale, il più celebrato edificio gotico d’Inghilterra. Con il vescovo e il nipote arcidiacono, suo omonimo, avrebbe mantenuto un lungo rapporto
di familiarità e di utili occasioni sociali che durò, come sappiamo, tutta la vita dell’artista.
Alla prima visita a Salisbury, Constable
esegue una serie di schizzi della cattedrale. Per il momento si trattava solo di esercitare sguardo e mano su un soggetto che sarebbe diventato per
lui quello che per Cézanne sarà la montagna Sainte-Victoire: un’ossessione d’artista. Nel 1822, tornando a Salisbury, riprende a studiare la
cattedrale in vista della committenza di Fisher nipote. Fin dall’inizio il soggetto appare del tutto estraneo al suo repertorio abituale, dove
protagonista pressoché assoluta continua a essere la campagna del Suffolk con le contee limitrofe. L’insigne monumento storico lo intimidisce al
punto da obbligarlo a una soluzione capace di mitigare la finalità celebrativa della committenza, che in sostanza era negli auspici di John Fisher,
soprattutto dello zio.
La cattedrale di Salisbury vista dai giardini del vescovo (1825), ora al Metropolitan Museum di New York, è
sicuramente il dipinto che ha avuto più repliche nell’intera produzione di Constable, repliche che ritroviamo anche nella formulazione dei titoli e
che può rendere precaria la loro identificazione. La prima versione, La cattedrale di Salisbury vista dai terreni del vescovo del 1823, oggi
al Victoria and Albert Museum di Londra, fu rifiutata dallo stesso vescovo perché a suo parere offuscata da un eccesso di nuvole. Ricorrendo alla
stessa iconografia, Constable esegue allora la versione del Metropolitan Museum, che appare rischiarata da un benedicente cielo azzurro solcato da
bianchi e vaporosi cumuli primaverili. Non solo. Per non cedere all’imposizione tematica senza attentare alla suscettibilità del vescovo, Constable
decide per il compromesso: recuperando modi e stilemi di quel pittoresco alla Gainsborough di cui si era fatto giustiziere, ma invertendone funzione
e significato. Mette cioè il paesaggio “a cornice” del soggetto aulico, facendone una sorta di gloriosa ghirlanda che enfatizza la centralità visiva
e simbolica della cattedrale. Inquadrata da svettanti alberi che formano una sorta di ogiva e designano la densa zona d’ombra in primo piano, la
cattedrale è ripresa da sud, dai giardini dell’abitazione del vescovo, mostrando in piena luce la superba fiancata con il suo trionfo di quadrifore,
guglie e contrafforti. Ma il paesaggio intorno urge, la scena deve rientrare presto nei ranghi della visione di Constable.
La natura finisce
per prorompere e imporsi sul soggetto nei verdissimi prati attraversati dal ruscello, nel pascolo in lontananza, nello smalto incontaminato del
cielo. Sulla sinistra, il vescovo Fisher, indicando alla moglie la cattedrale, si fa sostituto del nostro sguardo. Per dirla con Foucault, che era
ricorso a questo celebre aforisma per Las meninas di Velázquez, Constable esegue in definitiva la sua «rappresentazione della
rappresentazione»(16).
Tra le versioni eseguite intorno alla metà degli anni Venti, tutte discendono dai due prototipi del
Metropolitan Museum e del Victoria and Albert Museum. Da pittore “seriale”, Constable riesce in ogni caso a mantenere costante la qualità
dell’opera, concedendosi qualche licenza d’ordine “tecnico”, come nella versione in formato ridotto del Museu de Arte di San Paolo del Brasile, dove
la tavolozza risulta fortemente schiarita e la pennellata tocca raffinate trasparenze da acquerello.
Nel 1827 Constable rientra con la
famiglia ad Hampstead, dopo aver trascorso quattro anni nell’esecrata Brighton. Ma l’anno successivo, poco dopo la nascita del settimo figlio, la
moglie muore. «Sento ogni ora la mancanza del mio angelo», scrive a fratello Golding, «Dio sa come potranno crescere i nostri figli. Il mondo è
completamente cambiato per me»(17). La prostrazione per la perdita di Maria accompagnerà per tutta la vita questo uomo mite e sensibile.
Solo il lavoro ci sarà ormai per lui. L’ultima versione della cattedrale, La cattedrale di Salisbury dalla parte dei campi è del 1829, un
anno dopo la scomparsa di Maria. Oggi alla National Gallery di Londra, il quadro è una confessione che parla il linguaggio della natura. Ma non è
più il tempo dell’idillio. Constable costruisce una scena dove gli elementi sembrano chiamati ad affrontarsi per un grandioso conflitto. La carrozza
con i tre cavalli e il suo conducente immobili in mezzo al fiume, indifferenti a quanto si scatena intorno, è citazione di una stagione felice
perduta. Quadro d’intensità shakespeariana, che i contemporanei trovarono “esagerato”, Constable porta qui al parossismo il fenomeno fisico. Il
“tempo” della scena è misurato sulla dialettica degli opposti. La tempesta è passata - come il fenomeno pacificatore dell’arcobaleno vorrebbe
annunciare - ma un’altra incombe nell’addensarsi tumultuoso delle nuvole da ovest. Giorno e notte, luce e tenebre non riescono a prevaricarsi. Tutto
è in corso, attuale, complice, “uno” nelle sue estreme contraddizioni. Glorificazione o “de profundis” del creato, la realtà così dolorosamente
subita non può che farsi riflesso visionario. Il romanticismo di Constable nasce per via metafisica. «Uno dei più alti voli pittorici che la storia
ricordi […] bisogna arrivare a Cézanne per ritrovare una simile altezza», scrive Lionello Venturi(18) che altrove aveva peraltro espresso
qualche riserva sull’opera di Constable.
La filologia critica ha fatto a gara per sciogliere il significato di questo quadro che sembra
dipinto per essere decifrato. Una prima traccia era stato lo stesso Constable a indicarla, aggiungendo al quadro dei versi di un poemetto del poeta
scozzese James Thompson, dove l’arcobaleno sta per la speranza che segue l’evento tragico della morte dell’eroina Amelia tra le braccia del suo
amante Celadon. Ma in termini strettamente iconologici, l’arcobaleno formerebbe una sezione di cerchio - quasi un’aureola entro cui si inscrive la
cattedrale - una cui estremità sfiora simbolicamente l’abitazione del vescovo. Se non bastasse, ci fu anche chi aveva voluto leggere nel quadro un
annuncio della avvenuta “pax” tra anglicanesimo e cattolicesimo…