La postura orizzontale indica uno stato privo di difesa, una sorta di ipnosi cosmica. Quell’uomo può solo contemplare.
Non erano stelle, ma nuvole, quelle che dalla stessa prospettiva, disteso sul prato del suo giardino londinese, oltre due secoli prima Constable passava a scrutare per ore. E non era contemplazione, la sua, né rapimento mistico. In quei momenti, il mancato facoltoso mugnaio del Suffolk “diventava” letteralmente meteorologo e scienziato.
Lo riferisce il suo biografo, il pittore americano Charles Robert Leslie(1): dietro una serie di studi sul cielo eseguiti ad Hampstead Heath, era annotato: «5 settembre 1822, ore 10 antimeridiane, guardando a sud-est, vento gagliardo a ovest. Nubi luminosissime e grigie in rapida corsa su uno strato giallo, circa a mezza altezza in cielo». Tutto questo per diventare pittore come intendeva lui. È questo che voleva John Constable, “cacciatore di nuvole”.
Un’idea fissa, peraltro non in linea con i tempi, che sono quelli del passaggio tra XVIII e XIX secolo; e i luoghi, la Royal Academy e il suo “establishment” in tema di orientamento estetico e ideologico.
Per la perplessità del collega Ramsay Reinagle con cui coabitava negli anni della Royal Academy, Constable stava prefigurando, senza ancora saperlo, un grande progetto. Fare del paesaggio - convenzione pittorica che fino ad allora in patria e fuori non era riuscita a qualificarsi neppure come “doppio” platonico della realtà - farne, dicevo, il centro visivo e narrativo del quadro. Renderlo protagonista, genere capace di inventarsi una storia e un futuro in tutta autonomia. Riscattarlo insomma dai tradimenti e dalle manipolazioni con cui per secoli la “grande” arte l’aveva umiliato. Non ultimo, emanciparlo dalla poetica del “pittoresco” che proprio in Inghilterra per tutto il XVIII secolo aveva furoreggiato, sottoponendolo a un “maquillage” di suggestivi complementi e abbellimenti, di esagerazioni stilistiche che ne travisavano l’imprescindibile essenza oggettiva.