La mostra Caroto e le arti tra Mantegna e Veronese promossa dai Musei civici di Verona, aperta al Palazzo della Gran guardia fino al 2 ottobre, rilancia in un percorso di oltre centoventi opere, provenienti da musei e collezionisti italiani e internazionali, il ruolo di primo piano di Giovan Francesco Caroto, un artista che fu molto famoso tra i suoi contemporanei, tanto da entrare nell’olimpo delle Vite di Giorgio Vasari che gli riservò, nell’edizione del 1568, un’appassionata biografia. Il progetto, a cura di chi scrive, Gianni Peretti ed Edoardo Rossetti, raccoglie i frutti delle ricerche di numerosi esperti e si inserisce come anello di raccordo tra due grandi mostre organizzate dai musei comunali di Verona: Mantegna e le Arti a Verona 1450-1500 (settembre 2006 - gennaio 2007) e Paolo Veronese. L’illusione della realtà
(luglio - ottobre 2014).
Durante la prima metà del Cinquecento, la città di Verona governata dalla Repubblica di Venezia, malgrado i tumulti politici e sociali dovuti alla breve dominazione imperiale dal 1509 al 1516, malgrado le conseguenze di una devastante epidemia di peste, di un terremoto e di una grave carestia, attraversò una stagione di straordinaria creatività nelle arti, nella musica, negli studi archeologici, nelle scienze naturali, nel collezionismo e nel campo dell’architettura civile, religiosa e militare, dove si concretizzò un adeguamento linguistico in senso moderno grazie a personalità come Falconetto e Sanmicheli. La forma del paesaggio urbano che allora fu ridisegnata appare tuttora pervasiva nella fisionomia della città. L’arte veronese che sbocciò tra i due giganti, Andrea Mantegna e Paolo Veronese, non mancò di personalità inconfondibili e di talento nel campo della pittura e della miniatura, come Liberale da Verona, Girolamo dai Libri, Francesco Morone, Paolo Morando detto il Cavazzola, Francesco Torbido detto il Moro, Nicola Giolfino, Antonio Badile III, Domenico Brusasorzi. Tra tutte, la figura di Giovan Francesco Caroto, per molti aspetti inseparabile durante la carriera veronese da quella del più giovane fratello Giovanni, noto soprattutto come eccellente studioso di antichità, appariva già agli occhi di Vasari come la più eclettica e affascinante, la più capace di farsi carico di un confronto costante e mai convenzionale tra conservazione della tradizione e tensione verso la modernità e il cambiamento.
«EBBE SEMPRE GIOVAN FRANCESCO GRANDE OPINIONE DI SÉ, ONDE NON AVREBBE MESSO IN OPERA PER COSA DEL MONDO COSA RITRATTA DA ALTRI»
(GIORGIO VASARI, LE VITE, 1568)

