La pagina nera

in quei quadri nazisti
le sorprese e il repulisti

di Fabio Isman

Milleduecentottanta opere d’arte confscate durante il Terzo Reich sono state ritrovate a Monaco nell’appartamento di Cornelius Gurlitt, fglio di Hildebrand, direttore di musei e mercante anche per Hitler. Una brutta vicenda rispetto alla quale le indagini, tuttora in corso, porteranno alla luce ulteriori risvolti altrettanto sconcertanti.

I dipinti di provenienza nazista, confiscati o “acquistati” di solito a ebrei in gravi difficoltà (per usare un eufemismo), e ritrovati a Monaco di Baviera, suscitano una profonda emozione; ma lasciano aperti interrogativi non meno importanti e non meno imponenti. Il numero esatto di queste opere d’arte riapparse improvvisamente dal nulla è di milleduecentottanta; e non millequattrocento o millecinquecento, come si diceva all’inizio. Tra loro, secondo le prime risultanze, trecentottanta dipinti di “arte degenerata”, già sequestrati dai nazisti, e che il padre di chi ora li deteneva aveva comperato per due lire (pardon, Reichsmarken); poi, altri cinquecentonovanta fanno parte della cosiddetta “arte rapita”, o rapinata; e infine, al ministro della Giustizia bavarese trecentodieci sembrano «più innocui», e potrebbero presto essere restituiti a chi li deteneva; come sostiene anche il procuratore Reinhard Nemetz.

A possederli era un signore di ottantun anni, Cornelius Gurlitt, ottima salute e capelli immacolati, prima d’ora ignoto a tutti: niente assicurazione né mutue, vita sempre ritirata. Ma il padre Hildebrand, morto in un incidente nel 1956 a sessantuno anni, non era certamente uno sconosciuto. Era un direttore di musei e mercante: come vedremo, anche per Hitler. Dopo la guerra era stato fermato e interrogato per tre giorni dagli americani; gli avevano sequestrato centotrentasei quadri, che dopo cinque anni, però, gli erano stati restituiti. La collezione trovata a Monaco nell’appartamento di Cornelius origina da qui: da un evidente errore degli alleati. Perché, adesso, vengono fuori i documenti dimenticati. Gurlitt padre si è salvato invocando una madre ebrea, varie discriminazioni subite da lui e dal fratello, e la sua fede antinazista. Si è però scoperto che concludeva le lettere al numero due del Reich, Hermann Göring, con l’immancabile «Heil Hitler».

Nel 1943, Hermann Voss, direttore del museo di Dresda e principale consulente del Führer per quello suo futuro di Linz, lo officia per gli acquisti.

Nella lista di Fritz Wiedemann, aiutante personale di Hitler, assolto al processo di Norimberga e morto nel 1970, ci sono oltre cento opere, «del valore di almeno 9 milioni e 200mila marchi». A Hildebrand andava il 4%, come provvigione. Possedeva un salvacondotto della speciale «Commissione per Linz». L’ultima compera per Hitler, il 6 settembre 1944: una Madonna, Bambino e angeli di «prima scuola italiana», per 200mila marchi. Agli alleati confessa d’aver comperato molto in Francia: anche opere «di Chardin, Rodin e Rembrandt». Ma dice che tutto è andato distrutto dalle bombe a Dresda. Dal 1938, Gurlitt padre, che da tre anni era mercante, con sedi anche a Basilea e New York, era di casa al castello di Schönhausen, a Berlino. Qui – dopo la famosa mostra del 1937 in cui aveva esordito a Monaco – l’“arte degenerata” era stata ammassata; tutta, tranne i millequattrocento quadri e tremilaottocentoventicinque acquerelli, disegni e stampe che i nazisti manderanno al rogo il 20 marzo 1939 a Berlino, nel cortile della caserma dei pompieri. Quattro mercanti sono incaricati di vendere il resto in cambio di valuta pregiata. Anche Hildebrand, che da Göbbels rileva, a poco prezzo, quarantaquattro Kirchner, quattro Picasso, due Gauguin, dodici Nolde, quindici Dix, otto Kokoschka, altrettanti Grosz e altro ancora.