Tra i tanti “ismi” con cui si è cercato di inquadrare uno stile, un movimento, una tendenza della storia dell’arte, il manierismo è una delle definizioni più controverse. Classificare le differenti esperienze artistiche di un’epoca sotto a una parola-ombrello è un gesto quasi sempre arbitrario, che diventa ancora più problematico se il termine scelto per designare uno specifico orientamento del passato viene a un certo punto rispolverato e associato a un’attitudine contemporanea. Così è per “manierismo”, che oggi si usa spesso con valenza negativa, sia per indicare la sterile ripetizione degli stilemi rinascimentali nel XVI e XVII secolo o dei modelli linguistici della modernità negli ultimi cinquant’anni, sia per denotare una pura e semplice esibizione di virtuosismo tecnico. Eppure, nonostante il manierismo sia nato, come ricorda anche un contemporaneista come Achille Bonito Oliva paragonando il passato al presente, da «un esaurimento storico che non permette all’artista di attingere a una creatività primigenia, in quanto manca l’entusiasmo per la storia e per il proprio presente», sappiamo quanto il periodo tra Cinquecento e Seicento sia stato caratterizzato da grandi rotture, tensioni e spinte dialettiche, definendosi come un momento particolarmente denso e creativo(1). Il citazionismo e la copia, i due elementi compositivi che caratterizzano il manierismo in senso lato, non sono infatti quasi mai fini a se stessi, neppure nell’arte di oggi: il primo implica, il più delle volte, un’appropriazione delle formule di uno specifico autore o modello; il secondo, una personale ripresa – anche quando scaturita da «un bisogno rituale della forma» – dei generi stilistici che appartengono alla tradizione.
XXI secolo
Arte contemporanea e sensualità
sex appeal
di maniera
Cristina Baldacci