Balthus (1908-2001) è un pittore francese sulla cui grandezza non tutti i critici d’arte convengono o convergono (mentre lo adorano quanti, tra attori, scrittori e registi di cinema assecondano i ritmi del proprio gusto senza renderne conto a terzi). Insieme a cose più deboli, io credo gli spettino alcuni tra i più bei quadri figurativi di un secolo che, da un certo momento in poi, ha ripudiato la figurazione. Mentre, dopo la metà del Novecento, l’Astratto diventa articolo di moda e, senza offesa, pretesto decorativo, Balthus, in direzione ostinata e contraria, si mette a fare ritratti, turbative conversazioni in interno, angoli di Parigi, gatti, adolescenti nude e paesaggi montuosi – scampoli di un repertorio, abusato sinché si voglia, ma che nelle sue mani affusolate ricarbura fino alla combustione. è tanto arduo ingabbiare una posizione così sfacciatamente fuori schema che, nel momento in cui, tra gli appassionati, la conversazione cade su Balthus (vero nome Balthasar Kłossowski de Rola) ci si rifugia nel consueto rosario di aggettivi vacui e imprecisi: misterioso, raffinato, inquietante, morboso, malizioso, con i quali – non dimentichiamolo – abbiamo a lungo etichettato ingegni come il Rosso Fiorentino o il Parmigianino; e insomma quella banda a parte dei cosiddetti manieristi.
XX secolo. 1
Balthus
il maestro
dell’Età dell’Ansia
Tensione, oppressione, un erotismo mai esplicitato ma sempre accennato sono caratteri costanti nelle opere del pittore francese, opere in cui l’atmosfera, carica di presagi, trasmette un senso di angoscia a volte così tangibile da spiazzare lo spettatore.
Stefano Causa