Dal 7 febbraio, ci sarà un motivo in più per visitare Cartagena, la città colombiana che si affaccia sul mare
caraibico e che gli spagnoli fondarono nel 1533 con il nome dell’antico centro che si trova nella regione della Murcia. Verrà infatti inaugurata la
prima Biennale di Cartagena, che per due mesi darà nuovo impulso a un luogo già di per sé multiculturale – nei secoli vi si sono stratificati gli echi
della civiltà precolombiana, spagnola, africana e araba – e di rilevanza artistica: dal 1984, la bella Ciudad Amurallada, ovvero il centro storico
fortificato in epoca coloniale per resistere agli attacchi dei predatori che arrivavano dal mare, è stata dichiarata patrimonio Unesco.
Il
tema chiave di questa prima edizione è la “presenza”, intesa come sopravvivenza del passato nel presente. La Biennale di Cartagena sarà dunque
incentrata sulla memoria collettiva, con un occhio di riguardo all’architettura e ai luoghi che hanno fatto la storia della città, che verranno attivati
e riattualizzati con interventi site-specific, ma anche con performance, proiezioni di film e documentari, concerti, incontri e discussioni. Alla mostra
centrale, a cura della brasiliana Berta Sichel, che nel suo curriculum ha già due esperienze nell’ambito delle Biennali – una a San Paolo, l’altra a
Venezia per Aperto ‘93 – e un incarico decennale (dal 2000 al 2011) come direttrice del Dipartimento di film e video del Reina Sofía a Madrid, verrà
affiancata una rassegna di artisti colombiani dal titolo Il fannullone imperfetto o Quando le cose scompaiono.
Tra gli artisti nativi e residenti in Colombia troviamo la giovane Paola Tafur (Neiva, 1982), che proviene da una regione agricola, la Valle del Cauca, dove si coltiva soprattutto canna da zucchero, per questo nelle sue installazioni e nei suoi lavori su tela usa spesso frammenti e polveri di questo materiale povero come punto di partenza; ma anche un nome conosciuto a livello internazionale come Oscar Muñoz (Popayán, 1951), le cui opere effimere, dai ritratti a carboncino su specchi d’acqua ai volti disegnati con il fato su superfici riflettenti, pur affrontando temi forti, come la tragedia dei “desaparecidos” nei paesi latinoamericani o la guerra civile colombiana, sono altamente poetiche.
Mentre nella sezione principale, accanto ad artisti come Trisha Brown, Kimsooja, Candida Höfer, Yinka Shonibare, Bill Viola, è presente anche Rosa Barba, siciliana di nascita (Agrigento, 1972), ma berlinese d’adozione, che indaga il medium cinematografico e la sua matericità sia con sculture e installazioni i cui oggetti sono gli elementi stessi del cinema analogico – celluloide, proiettore, luce, suono –, sia con film il cui alfabeto è fatto di forma, immagine, memoria, spazio, tempo, ma anche di assenza.