Studi e riscoperte. 4
Giuseppe Antonio Landi

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deLL’equatore

Beatrice Buscaroli

Straordinario architetto del Settecento, formatosi sotto la guida di Ferdinando Galli Bibiena, il bolognese Landi approda dopo la metà del secolo a Belém, in Brasile, destinata, col suo arrivo, a cambiare volto.

Via Broccaindosso, a Bologna, è una strada medievale stretta e sinuosa che collega via San Vitale e strada Maggiore. Ogni estate, in un cortile interno e segreto, fiorisce ancora il melograno di Pianto antico: Giosue Carducci vi abitò nei mesi dolorosi della morte del piccolo Dante.

Quasi di fronte, a poche decine di metri di distanza, nacque nel 1713 uno degli architetti più straordinari del Settecento, personaggio avventuroso e intelligente destinato a cambiare per sempre il volto di una città dall’altra parte del mondo, la brasiliana Belém do Para, dove avrebbe lasciato, nell’urbanistica e nell’arte, un’impronta non solo italiana ma precisamente bolognese.

Figlio di un professore di filosofa e medicina dell’università più antica d’Europa, Giuseppe Antonio vide la luce a neppure due anni dalla fondazione dell’Accademia clementina, una delle prime scuole d’arte d’Italia, organizzata dal pittore Carlo Cignani e patrocinata dal papa Clemente XI.

Il giovane Landi abitò e crebbe a due passi dalla scuola, allievo prediletto di Ferdinando Galli Bibiena, e si laureò maestro in architettura.

Costruttori e disegnatori, i Bibiena dominarono per tre generazioni la scena dell’architettura europea, teatrale e non solo. A Ferdinando si deve la “veduta per angolo”, stratagemma geniale per ampliare la profondità della veduta, sperimentata e messa in opera nei maggiori teatri dell’epoca.

Giuseppe Antonio disegnava e incideva: il disegno era una disciplina profondamente radicata nella tradizione classicistica dell’accademia che, dai Carracci in poi, aveva eletto questa pratica a fondamento estetico e pratico dei suoi insegnamenti. «Non ti meravigliare o Studioso di Architettura», scriveva Landi nella sua dedica ai Disegni di architettura tratti per lo più da fabbriche antiche, «perché io l’ho fatto […] perché tu vegga, che quella strada, che agli altri addito, quella è che io cerco, e ch’io giudico la migliore».

Landi lavorava e faceva carriera in accademia negli stessi anni e negli stessi mesi in cui Spagna e Portogallo sentirono l’esigenza di stabilire i precisi confini dei reciproci possedimenti nel Nuovo mondo. Nascono una dopo l’altra le serie di volumi dedicati alle Facciate e alle Porte di Bologna; nel 1747 riceve la commissione per il rifacimento della chiesa di Sant’Agostino a Cesena; nel 1750 tiene la sua ultima seduta da professore a Bologna: ha trentasette anni quando decide di partire per Lisbona, invitato a prendere parte all’avventurosa impresa della demarcazione dei confini tra Spagna e Portogallo, col collega bolognese padre Giovanni Antonio Brunelli, astronomo e matematico. Tra l’utopia scenografica dei Bibiena e l’affettuoso legame che univa la scuola a un passato ancora fortemente segnato dall’idea normativa di un canone, Giuseppe Antonio, destinato a divenire il “Bibiena dell’equatore”, importerà in Brasile il fascino del portico e delle sue ombre, lo scalarsi dei chiaroscuri, la mediazione gentile di quel passaggio tra spazio pubblico e privato che ancora domina le sue architetture brasiliane, dall’Ospedale reale alla cattedrale. A Bologna il portico era nato come abuso edilizio: da allora e fino a oggi la sua custodia è regolata da precetti e regole che derivano direttamente dal Medioevo.

Landi parte, si ferma a Lisbona dove studia l’architettura della città ricostruita dopo il terremoto del 1755, poi salpa definitivamente. Non tornerà più.


Landi importerà in Brasile il fascino del portico e delle sue ombre, lo scalarsi dei chiaroscuri, la mediazione gentile di quel passaggio tra spazio pubblico e privato