Ha avuto l’onore di inaugurare la settimana della critica dell’ultimo festival di Venezia. è uscito nelle sale lo
scorso novembre e la sua uscita in dvd si spera imminente. L’arte della felicità è stato un caso. Intanto perché un lungometraggio di
animazione in Italia viene sempre salutato come un evento, vista la difficoltà di competere con gli standard d’oltreoceano. Poi perché non si tratta di
un cartone rivolto a bambini più o meno grandi ma ad adulti. Il pensiero corre a precedenti come i film di Ralph Bakshi o quelli di Ari Folman (Valzer con Bashir) o ancora quelli di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud (Persepolis). Ma L’arte della felicità si avventura su un terreno ancora più
delicato, quello esistenziale. Se il tutto è poi ambientato in una città come Napoli, sommersa da una continua pioggia e dai rifiuti – protagonista un
tassista che ha smesso di fare il pianista ed elabora così il lutto della morte del fratello monaco buddista –, ci si rende conto che non siamo di
fronte al solito cartone. Il regista, Alessandro Rak, è un disegnatore e illustratore e ha scritto la storia con Luciano Stella, cui si devono alcuni
spunti autobiografici. Rak ha dichiarato il suo debito verso un grande dell’animazione come Miyazaki e, attraverso di lui, verso un grande della pittura
giapponese come Hiroshige. La tempesta, all’inizio del film, su Napoli, ma anche le immagini del Vesuvio ne sono un esempio.
Il tratto è assai diverso nelle scene ad alta emozione o in quelle legate al mondo della musica. Quelle della quotidianità appaiono quasi sciatte
ma viene il dubbio che il segno quasi rozzo, nel caso del tassista, sia invece una scelta molto in linea con la tematica buddista. Sia cioè il
corrispettivo della forma vista come limite, come apparenza da cui la ricerca spirituale cerca di uscire e che solo di tanto in tanto riesce a
superare.
In questo senso il film, in un ideale percorso di cinema e spiritualità, si pone come tassello interessante e mostra che il film di animazione può
diventare uno strumento più duttile e forse anche più economico per la realizzazione di progetti ambiziosi e fuori dal “mainstream”. Non è poco per una
pellicola di questo genere, prodotta in Italia nel 2013 e di un esordiente.