Niccolò Machiavelli, nel Principe (1513), prende gli Este di Ferrara come esempio di principato ereditario
che «sempre si manterrà nel suo stato, se non è una straordinaria ed eccessiva forza che ne lo privi». A fine Cinquecento, però, sarà proprio una forza
«straordinaria ed eccessiva», quella del papa Clemente VIII Aldobrandini, a privare per sempre gli Este – in mancanza di eredi in linea diretta – della
loro prima e antica capitale, Ferrara, e dei territori del delta del Po, costringendoli a trasferire la corte e lo Stato a Modena. La città era allora
ben più modesta e priva di strutture urbanistiche e architettoniche degne di una corte ma, insieme a Reggio, era un feudo imperiale, che la Chiesa non
poteva rivendicare. La “devoluzione” di Ferrara si consumò nel gennaio 1598, con l’arrivo a Modena del duca Cesare, del ramo degli Este di Montecchio,
ritenuto illegittimo dal papato. Tra le più antiche casate d’Italia, la dinastia estense governava dal 1267 uno Stato che al momento della massima
espansione univa l’Adriatico al Tirreno, passando per la vasta pianura del Po e travalicando l’Appennino tra Emilia e Garfagnana toscana. Nel 1598
quello Stato vide così dimezzato il suo territorio e il suo potere, e dovette ricostruirsi da zero una nuova capitale e una nuova immagine sulla scena
politica italiana ed europea. Risorti come la fenice sotto l’insegna araldica dell’aquila bianca, gli Este regneranno su Modena e Reggio sino all’Unità
d’Italia.
Gli estensi furono tra i più grandi mecenati e collezionisti d’arte della storia d’Italia, sia nel periodo ferrarese che in quello modenese. La mostra
Splendori delle corti italiane: gli Este. Rinascimento e Barocco a Ferrara e Modena, che la Reggia di Venaria (in collaborazione con la
Soprintendenza di Modena e la Galleria estense) dedica oggi alla dinastia (tappa d’esordio di un progetto espositivo dedicato alle grandi corti
italiane), presenta per la prima volta al grande pubblico, attraversando due secoli, il lungo viaggio artistico della casata emiliana da Ferrara a
Modena senza quella cesura che l’ha segnata alla fine del Cinquecento, e ricomponendo quindi, sul piano del mecenatismo artistico, la continuità e il
legame tra due capitali che la storia ha diviso bruscamente nel 1598.
La mostra è anche in rapporto con altri e più recenti avvenimenti che hanno profondamente sconvolto quei territori della Bassa padana che furono
parte dello Stato estense. Il terremoto del maggio 2012, infatti, ha devastato questa zona dell’Emilia (e alcune aree limitrofe della Lombardia e del
Veneto), colpendo in particolare il patrimonio architettonico e storico-artistico. Una delle vittime illustri del sisma è stata la Galleria estense di
Modena, il museo che raccoglie l’eredità delle collezioni estensi, delle quali conserva celeberrimi cimeli dal Quattrocento al Settecento. In attesa
della riapertura della Galleria, al termine dei lavori tuttora in corso, il “cuore estense” delle sue raccolte forma a Venaria il nucleo della mostra,
integrato da importanti prestiti da musei italiani e stranieri, per presentare con ampiezza e altezza qualitativa lo sviluppo delle raccolte e degli
interessi artistici della casata, e i principali artisti che furono al suo servizio nel periodo che va dal ducato ferrarese di Alfonso I (1505-1534) a
quello modenese di Francesco II (1664-1694).