IDEALISMO E MISOGINIA:
IL DUALISMO FEMMINILE

Da quando la critica ha cominciato a interessarsi agli artisti simbolisti, uno dei suoi aspetti non ha smesso di infuocare i dibattiti: la rappresentazione della donna.

Espressioni quali “femme fatale” o, viceversa, “eterno femminino” hanno riempito pagine di articoli e di cataloghi di mostre, al punto che è lecito chiedersi in che modo oggi possiamo utilizzarle, coscienti che esse appartengono a un primo momento della riscoperta del simbolismo piuttosto che alla sua realtà storica. Anche nel caso di Khnopff, non si è resistito alla tentazione di commentare le sue figure come androgine, misteriose, bizzarre, a volte semplificando l’analisi critica. Più recentemente i “gender e transgender studies” invitano a rimettere in questione alcuni lavori del periodo, a volte sulla base della biografia dell’artista stesso: pensiamo a ciò che sta accadendo a Paul Gauguin. Detto ciò, affrontare lo studio di determinate opere comporta la necessità di interrogarsi sulla condizione femminile dell’epoca, un’epoca caratterizzata da una forte misoginia, conseguenza di teorie evoluzionistiche e lombrosiane, strettamente intrecciata ai timidi passi per l’emancipazione. Inoltre, va considerato il ruolo riservato alle donne: attive nel privato, come animatrici di salotti o nella letteratura, per esempio, erano escluse dalla vita pubblica, non avevano diritto di voto, né legittimità su alcunché, né accesso alla formazione superiore. Difficile, tuttavia, legare in un rapporto di causa ed effetto le scelte artistiche, sarebbe una semplificazione affermare, per esempio, che Khnopff ha rappresentato una sfinge o un ghepardo con il volto di una donna per rappresentare la sua “ferocia” e gli uomini con dei volti “effeminati’, androgini per rappresentare la loro “dolcezza” o “spiritualità”. Non esiste questa demarcazione netta nelle sue figure, ma una deliberata ambiguità, come suggerito anche nella letteratura, per esempio nel romanzo Bruges-la-morte o nei romanzi di Péladan.