Se l’avanguardia surrealista, grazie ai nomi di Salvador Dalí o René Magritte, è entrata a far parte da qualche decennio della rosa dei movimenti artistici più noti anche al grande pubblico, fino a invadere la cultura di massa, diversamente vanno le cose per il simbolismo, corrente madre del surrealismo. Frainteso, strumentalizzato, questo “momento”(7) della storia dell’arte di fine XIX secolo, riscoperto solamente grazie a vendite all’asta inglesi e a coraggiose mostre degli anni Settanta del secolo scorso, continua a mantenere il suo carattere segreto, quasi vittima dello stesso fraintendimento che ha creato, volendosi corrente a sé, ricercata, intellettuale, filosofica, ermetica e impenetrabile.
L’ultimo della serie, intitolato Un peintre symboliste, è l’occasione per definire l’artista in quanto simbolista ma anche per discutere attorno al significato del termine stesso “simbolista”, decretandone l’appartenenza al regno dell’indefinito e del soggettivo, del suggerito al posto di descritto. Verhaeren cita Gustave Moreau (1826-1898) e Odilon Redon (1840-1916) come pionieri di pittura simbolista contemporanea, ai quali aggiunge Khnopff.