Grandi mostre. 2
ERNST A MILANO

GLI ALLEGRI
MOSTRI


VISIONARIO, APPASSIONATO DI FILOSOFIA, SCIENZA E ALCHIMIA, MAX ERNST – PITTORE, POETA, SCRITTORE E TEORICO DELL’ARTE – È OMAGGIATO, PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA, CON UNA IMPONENTE RETROSPETTIVA A PALAZZO REALE, CHE RIPERCORRE INTEGRALMENTE IL SUO PERCORSO CREATIVO, SIMBOLICO, ALLUSIVO E METAFORICO.

LAURETTA COLONNELLI

«Se si crede alla descrizione di Max Ernst che appare nella sua carta d’identità, egli avrebbe, nel momento in cui scrive queste righe, soltanto quarantacinque anni. Avrebbe inoltre il viso ovale, gli occhi blu e i capelli tendenti al bianco. Di statura, sarebbe solo leggermente superiore alla media. Quanto ai segni particolari, la carta d’identità non gliene concede affatto: potrebbe quindi, se ricercato dalla polizia, tuffarsi agevolmente nella folla e scomparirvi per sempre». Così Max Ernst, nel 1936, scrive di sé in Oltre la pittura. La descrizione coincide con l’immagine nelle foto di quel periodo: un ometto in apparenza insignificante, si direbbe addirittura spento, se non fosse per gli occhi che spiccano nel volto anonimo, «occhi da gufo gentile», come li definì Leonora Carrington, una delle sue numerose amanti, che si aggiunsero alle quattro mogli, nel corso di una vita diventata leggenda.

 
Max, nello stesso capitoletto sulla sua identità, ammette che le donne gli concedono una buona dose di fascino, molta “realtà” e capacità di sedurre, un fisico perfetto e buone maniere, ma un carattere difficile, inestricabile, enigmatico, e uno spirito impenetrabile che è un groviglio di contraddizioni. Lui rivendica il fatto che le contraddizioni, flagranti solo in apparenza, costituiscono la sua identità. Conclude parafrasando il pensiero di André Breton: «L’identità sarà convulsa o non sarà».


Le contraddizioni apparenti diventeranno anche il fulcro della sua arte, come si capisce dalla formula enunciata nel 1934, che raccomandava «l’accostamento di due o più elementi di natura apparentemente opposta, su di un piano di natura opposta alla loro». Aveva illustrato questo precetto con la famosa frase «incontro fortuito sopra un tavolo di dissezione tra una macchina da cucire e un ombrello». Spiegando che l’incongruità dell’assemblaggio è soltanto apparente e si annulla dissezionando i due oggetti sul tavolo, cioè analizzando e confrontando le loro differenze e le somiglianze: la punta della macchina da cucire e quella dell’ombrello, la stoffa che viene trapassata dall’ago e quella che respinge la pioggia, eccetera. I due oggetti distinti si trasformano così in metafore reciprocamente inverse, l’intuizione delle quali genera «la gioia che si prova di fronte ad ogni metamorfosi ben riuscita e che corrisponde a un bisogno secolare dell’intelletto».