Morti misteriose. Sono quelle di tanti artisti, che i posteri cercano di spiegare. Com’è morto, per esempio,
Caravaggio? Nonostante studi e ricerche, la sua fine rimane ancora oscura. Come quella del Rosso Fiorentino: si era davvero suicidato a Parigi con
«certo velenosissimo liquore» per essere stato ingiusto con un suo sodale, come racconta Vasari, o era stato avvelenato? E il giovane Masaccio scomparso
a Roma non ancora ventisettenne, nel «bel del fiorire» come dice ancora Vasari, forse fu ucciso per invidia? Domande che si fanno anche per Raffaello,
il «divin pittore», un dio in terra, amante delle donne, e diventato così bravo e potente da fare formulare le ipotesi più truci sulla sua dipartita da
questo mondo.
Un fatto che sconvolse allora Roma e l’Italia intera, e che oggi spinge un’équipe di studiosi, storici, medici, restauratori, genetisti, archivisti,
informatici, paleografi e altri specialisti a imbarcarsi in un progetto ambizioso intitolato Enigma Raffaello, volto a indagare sulla fine del pittore
con tutti gli strumenti possibili. Un progetto anticipato in un libro pubblicato da Skira(*).
Raffaello muore il 6 aprile 1520 dopo circa otto giorni di febbre violenta e inarrestabile, alle 3 di notte di un venerdì santo, lo stesso giorno in cui era nato trentasette anni prima (6 aprile 1483). Un evento inaspettato, che lo coglie in piena attività mentre sta dipingendo la Trasfigurazione, e colpisce la comunità intera di artisti e intellettuali, e naturalmente il papa, il suo maggiore committente. Che cosa era successo? La fonte più loquace per una risposta, trent’anni dopo, è Vasari, che racconta di eccessi amorosi del pittore, uno dei quali gli sarebbe stato fatale. E che i medici sbagliarono diagnosi. Anziché «ristorarlo», gli cavarono sangue, pensando che fosse «riscaldato», sino a debilitarlo e farlo morire. Raffaello si spegne lucido, dopo aver fatto testamento , dato disposizioni per la sua sepoltura e allontanato da casa la sua donna, perché riacquistasse buona fama. Ma che tipo di febbre era, quella ?
Vasari non ce lo fa capire e neppure i possibili testimoni dell’evento, cronisti, ambasciatori, diplomatici, da Marcantonio Michiel a Pandolfo Pico
della Mirandola, che informano da Roma i sovrani italiani ed esteri. Si soffermano sull’eccezionalità di quella fine, quasi miracolosa per essere
avvenuta quel «venerdì di Pasqua», e sulle reazioni della comunità del tempo. Papa Leone X, secondo Pandolfo Pico, al momento del decesso avrebbe
avvertito un rumore simile a quello provocato da un crollo di muri, tanto da scappare dalle sue stanze e ripararsi in quelle di monsignor
Cybo.