Grandi mostre. 3
DUFY A ROMA

IL COLORE RADIOSO
PRENDE FORMA

LUCE SFOLGORANTE, ABBAGLIANTE. LINEE MORBIDE, AMALGAMATE NELLA POTENZA DI UN'INCONTENIBILE SINFONIA CROMATICA. COSÌ APPARE LA PITTURA DI RAOUL DUFY, AMANTE DEL MARE, DELLA MUSICA E CON UNA PARTICOLARE PREDILEZIONE PER MA TISSE.

Lauretta Colonnelli

«Il colore è un fenomeno della luce. Per i colori la natura si serve della luce. Per captare la luce il pittore si serve dei colori», diceva Raoul Dufy. Con i colori e la luce, l’artista vissuto nei periodi più bui del Novecento – due guerre mondiali, una pandemia (la spagnola), una crisi economica devastante – riuscì a trasformare la propria esistenza in un flusso continuo di gioia, e a condividere questo fiume raggiante con chiunque vedesse i suoi dipinti. Ora, si può gioiosamente navigare tra le centosessanta opere provenienti dai più importanti musei di Francia e Belgio, esposte a Roma nelle sale di palazzo Cipolla. Basta lasciarsi trasportare dalla potenza cromatica che emana dai quadri e dalle ceramiche, dalle scenografie teatrali e dalle sontuose stoffe a motivi floreali déco stampate per il sarto Paul Poiret, dalle figure di cavalli alati e sirene e fantasmi in un bar, incise sul legno con un temperino, per illustrare i poemi di Guillaume Apollinaire, André Gide, Stéphane Mallarmé. Fino all’ultima sala, dove la celebrazione della luce e del colore deflagra in quello che fu considerato per parecchio tempo il dipinto più grande del mondo, dieci metri di altezza su sessanta di lunghezza, intitolato La fata elettricità.

Nella mostra romana se ne ammira una versione ridotta in scala di uno a dieci, ma ugualmente straordinaria, eseguita dallo stesso Dufy dopo aver portato a termine l’opera monumentale, che oggi è esposta in una sala creata appositamente presso il Musée d’Art Moderne de Paris.

Destinata al padiglione francese dell’Exposition Internationale des Arts et Techniques dans la Vie Moderne del 1937 a Parigi, La fata elettricità gli era stata commissionata il 7 luglio del 1936 dall’azienda che produceva e gestiva l’elettricità nella capitale. Dufy ebbe appena undici mesi di tempo per elaborare un murale di seicento metri quadrati. Vi fece confluire tutti gli esperimenti e le passioni che l’avevano guidato verso uno stile perfettamente riconoscibile, che associa modernità e classicismo, disegno e colore, ma con il disegno che si rifiuta di contenere semplicemente il colore e a poco a poco diventa linea sempre più libera e morbida, flessuosa e piroettante tra riccioli, arabeschi, virgole; e con il colore che si fa tinta vivida e si spande in molteplici campiture verticali e orizzontali. La rivelazione avvenne nel 1905, davanti al quadro di Matisse Lusso, calma e voluttà: «La vista del miracolo dell’immaginazione introdotta nel disegno e nel colore fu come una scossa elettrica». Con questo stile, affinato da un periodo fauve, e da una riscoperta del «colore-luce che costruisce la forma» di Cézanne, Dufy era diventato famoso. Il suo percorso verso il successo si può leggere nelle varie sezioni della mostra che ne illustrano i passaggi.

Diceva di essere cresciuto cullato dal mare e dalla musica. Era nato nel 1877 a Le Havre, sulle coste normanne, in una famiglia di musicisti. L’amore per il mare e per la musica costituisce la sua prima fonte d’ispirazione e domina tutta la sua opera. Fin dagli esordi impressionisti, al tempo in cui aveva vent’anni, fa risuonare nelle sue tele violini e pianoforti, quintetti e intere orchestre e omaggi ai grandi compositori, da Mozart a Bach a Debussy. Negli anni Dieci del Novecento comincia a frequentare gli esponenti dell’avanguardia musicale e a disegnare scenografie per il teatro. All’inizio degli anni Quaranta stringe amicizia con Pablo Casals, che in piena guerra si era rifugiato come lui a Perpignan, e improvvisa concerti privati nel proprio atelier, mentre trasferisce sulla tela visioni immaginarie di Arlecchino musicista.

Risalgono all’inizio del XX secolo anche i primi paesaggi marittimi, che in seguito si estenderanno dalla Normandia alla Provenza, ma le scene ricorrenti saranno sempre i porti e i luoghi di villeggiatura, l’intensità della luce e i riflessi sull’acqua, le spiagge affollate di bagnanti felici e le regate, i battelli impavesati e i pescatori, le onde increspate e le conchiglie.

«Lo sa che i pittori nascono solo nei climi marittimi? Devono avere costantemente sotto agli occhi una certa qualità di luce, uno scintillio, una palpitazione aerea che inondi ciò che vede», disse al critico Pierre Courthion.

Nella mostra romana risplende La grande bagnante, osservata sulla spiaggia di Sainte-Adresse, dipinta nel 1914 su una tela di quattro metri quadrati, e considerata il capolavoro del suo periodo cézanniano. Dufy raccontava che questa donna era stata per lui la prima rivelazione della bellezza plastica, «il primo spettacolo che ha deliziato i miei occhi da ragazzo e che ho immortalato per i posteri, quasi vent’anni dopo aver goduto di quella cosa chiamata spiaggia. Possano gli amanti della pittura, del mare d’estate e delle donne in costume da bagno trarne qualche piacere».


TRA RICCIOLI, ARABESCHI, VIRGOLE, IL COLORE SI FA TINTA VIVIDA E SI SPANDE IN MOLTEPLICI CAMPITURE VERTICALI E ORIZZONTALI


Nudo su fondo blu (1930), Parigi, Musée de Montmartre.


Caffè all’Estaque o L’aperitivo (1908), Parigi, Musée d’Art Moderne.