FINESTRE SULL’ARTE

I condottieri
della cattedrale

Federico D. Giannini

I MAESTOSI CENOTAFI DEDICATI A GIOVANNI ACUTO E A NICCOLÒ DA TOLENTINO, DIPINTI, RISPETTIVAMENTE, DA PAOLO UCCELLO E DA ANDREA DEL CASTAGNO NEL DUOMO DI FIRENZE, TORNANO A RISPLENDERE DOPO UN ACCURATO RESTAURO

Sono passati solo ventidue anni dall’ultima volta che il Giovanni Acuto di Paolo Uccello e il Niccolò da Tolentino di Andrea del Castagno, i monumentali cenotafi dipinti della cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, sono stati restaurati. Eppure, lo scorso maggio, i due enormi affreschi, entrambi di oltre otto metri d’altezza per più di cinque di larghezza, sono tornati sotto le cure di Daniela Dini, la stessa restauratrice che nel 2000 aveva condotto l’intervento volto, in quell’occasione, a sistemare i problemi che erano venuti a crearsi diversi decenni dopo il restauro di Dino Dini del 1953: la superficie pittorica del Niccolò da Tolentino presentava patine bianche dovute a infiltrazioni d’acqua, ed entrambi i dipinti risultavano quasi oscurati dalla polvere e dal particellato atmosferico che in cinquant’anni si erano depositati sui due condottieri a cavallo. I due affreschi hanno una storia tormentata: il primo a occuparsi del loro restauro (in quel caso, del Giovanni Acuto) fu addirittura Lorenzo di Credi, il grande allievo di Verrocchio, nel 1524. Fu peraltro lui ad aggiungere la cornice “a candelabre” dell’affresco di Paolo Uccello. Poi, nel 1688, un altro intervento, questa volta di Filippo Baldinucci, che ritoccò i colori, e ancora nel 1842, quando Giovanni Rizzoli, per ovviare alle pessime condizioni di conservazione, eseguì lo strappo dei due affreschi e li trasportò su tela, con susseguente restauro pittorico di Antonio Marini. I due dipinti furono poi trasferiti in controfacciata fino al 1946. Si arriva dunque al 1953, e all’intervento di Dino Dini per sistemare problemi di contrazione della tela e di offuscamento della superficie.

Un problema, quello dell’accumulo di particolato, dovuto oggi soprattutto all’inquinamento, che ha reso necessario un nuovo intervento, terminato lo scorso dicembre.

Sono due opere importanti, non soltanto perché riprodotte su tutti i manuali di storia dell’arte, ma anche perché hanno per la città un elevato valore simbolico, come ha riconosciuto, il giorno della fine dei lavori, il vicepresidente dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Sergio Givone. Quando Paolo Uccello dipinse il suo Giovanni Acuto (il capitano di ventura inglese John Hawkwood), che gli fu commissionato nel maggio del 1436 per “rifare” letteralmente l’affresco eseguito sul finire del Trecento da Agnolo Gaddi e Giuliano d’Arrigo, la cattedrale di Firenze aveva già un monumento equestre a un condottiero, quello a Piero Farnese, oggi perduto. Era però raffigurato in armi, all’uso “medievale”, per così dire: dipingendo Hawkwood con il berrettone e la giornea, Paolo Uccello (che peraltro impiegò soltanto tre mesi per terminare il lavoro) conferiva un «tono umanistico» al condottiero, come scrisse Lorenza Melli, e assegnava un «carattere civile» alla rappresentazione.

Si potrebbe dire che il Rinascimento entrava nel più grande tempio cittadino. E di lì a qualche anno, il Giovanni Acuto sarebbe stato seguito dal Niccolò da Tolentino.


Andrea del Castagno, Monumento equestre a Niccolò da Tolentino (1455), particolare;


Paolo Uccello, Monumento equestre a Giovanni Acuto, (1436), particolare, entrambi nella cattedrale di Firenze.