Luis Buñuel era affascinato dalle sue imprevedibili performance, Alejandro Jodorowsky la considerava una maestra («da lei appresi la libertà poetica, il significato dei tarocchi e la magia»).
Pittrice e scultrice (la sua vita e la sua opera si intrecciano con quella di Leonor Fini, Remedios Varo e Frida Kahlo), scrittrice (André Breton la inserisce tra le uniche due donne della Antologia dello humour nero), scenografa per il teatro e perfino comparsa per il cinema, Leonora Carrington (1917-2011) ha anche una vita talmente interessante che sorprende non sia stata mai sfruttata per un “biopic”.
Nata in Inghilterra da madre irlandese e padre inglese ricchissimo, bellissima coi suoi capelli ricci corvini, rifiuta un buon matrimonio nella buona società inglese in nome della pittura. A Firenze si innamora dell’arte del Quattrocento (Paolo Uccello e Pisanello) e a Parigi dei surrealisti, e in particolare di Max Ernst. Un grande amore con quest’ultimo, interrotto dall’internamento di lui in un campo di prigionia francese e dall’improvvisa follia di lei. Dalla clinica psichiatrica uscirà trasformata e il viaggio negli Stati Uniti prima e nel Messico dopo, un nuovo compagno e poi due figli la renderanno più consapevole della sua arte e del particolare incontro che è chiamata a realizzare tra surrealismo e arte celtica, concezione dello spazio medievale e arte maya. La nuova ristampa del saggio di Giulia Ingarao, Leonora Carrington. Un viaggio nel Novecento. Dal sogno surrealista alla magia del Messico (2014), ha il merito di riaccendere i riflettori su un’arte metamorfica e sincretica, ricca di presenze animali e animiche, modernissima e insieme ieraticamente atemporale.
In attesa che il cinema se ne accorga si può vedere il bel documentario BBC, reperibile online, Leonora Carrington: The Lost Surrealist (Teresa Griffith, 2017). È un’ora circa in cui si ripercorrono, anche con prezioso materiale d’archivio, le tappe e gli incontri salienti della sua vita, brani di interviste ai due figli e all’artista stessa. I raffinati intarsi visivi del video (figure dei suoi quadri sembrano prendere vita sui muri della sua casa mentre scorrono le voci off o altre immagini, quasi fossero premonizioni o ritratti disincarnati) impreziosiscono l’aspetto visivo del documentario . Una piccola guida a questa regina dei labirinti, nella speranza che una mostra italiana la faccia conoscere anche qui e le restituisca quel posto nell’immaginario collettivo che in alcuni paesi già occupa alla stessa altezza di Frida Kahlo.