Grandi mostre. 1 
ARTURO MARTINI A TREVISO

FRAMMENTI DI REALTÀ

SCULTORE DI SPICCO DELLA PRIMA METÀ DEL NOVECENTO, ARTURO MARTINI TORNA ALL’ATTENZIONE DEL PUBBLICO CON UN’AMPIA ESPOSIZIONE AL MUSEO BAILO, CUSTODE DI MOLTE OPERE DEL FERVIDO ARTISTA, CAPACE DI REALIZZARE FORME DI INTENSA PLASTICITÀ.

Sileno Salvagnini

Confessava a Gino Scarpa nell’agosto del 1944 Arturo Martini a proposito del Figliol prodigo (1927): «È l’argomento più importante della mia vita [ed è stato] totalmente disprezzato […]. Lo guardo sempre con piacere, come se l’avesse fatto un altro. Non c’è un’opera così completa di sentimento e di forma dagli alessandrini a oggi. La testa del padre: ero impressionato con teste di Olimpia. [… Ma rispetto a quelle] il Figliol prodigo ha un pathos! Un greco non avrebbe potuto farlo».

L’opera in bronzo fu esposta a Milano nel 1929 alla Seconda mostra del Novecento italiano e riprodotta in catalogo – anche se la riproduzione ne mostrava il gesso, poi distrutto –, nonché alla prima Quadriennale di Roma nel 1931, dove Martini ottenne il primo premio di centomila lire consacrandosi definitivamente come grande scultore. Viene riproposta ora a Treviso nella ricca esposizione che il Museo Luigi Bailo dedica all’artista: una delle maggiori, paragonabile per numero di opere solo a quella allestita nel medesimo luogo nel 1967, a cura di Giuseppe Mazzotti. La mostra attuale riporta all’attenzione Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947), di certo il maggior scultore italiano della prima metà del Novecento; un’attenzione forse un po’ scemata negli ultimi decenni, almeno dopo l’importante progetto espositivo messo a punto tra 2006 e 2007 prima a Milano, poi a Roma, e curato dalla compianta Claudia Gian Ferrari insieme ad altri esperti.

La grandezza di Martini – scultore-modellatore e non sbozzatore, come poteva essere un Henry Moore – stava anzitutto nella vulcanica e polimorfica attività che lo contraddistinse fin dalle origini. «In fondo», confidava sempre a Scarpa, «quando l’artista è grande produce a cloaca». Cioè diuturnamente, e senza pentimenti, facendo quindi anche degli errori: «Nell’opera dei grandissimi ci sono gli stessi difetti che ha la natura, la vita, l’uomo, ma essi vengono assorbiti dall’impeto e passione […] Solo i minori non sbagliano mai: fanno sempre la pilloletta perfetta, senza un difetto».


Arturo Martini, La veglia (1931).