ZOMBIE, CORTEI APOCALITTICI
E FIGURE DELLA MORTE

All’origine iconografica delle danze macabre e dei Trionfi della Morte c’è la presenza terrificante e grottesca dei “treni” apocalittici, dove zombie vagano nell’immaginazione e nella cultura europea del Medioevo.

Questi maledetti senza domani vivono nella bruttezza perenne. Portano in giro le loro anime in pena nell’eternità del supplizio(2). La famiglia di Hölle König (re dell’inferno) – traslato in Helleking o Helething, Herlequin o Harlequin (Arlecchino) – è una carovana di morti viventi girovaghi, personaggi demoniaci, nani, etiopi, che mette in azione una danza macabra, cruenta e rumorosa.

Il nome di Helething parrebbe di origine germanica a partire dal riferimento all’esercito (in tedesco “Heer”) e all’assemblea dei guerrieri liberi (“Thing”). Dietro questa potente e terribile immagine si scorgono retaggi di culti e credenze di matrice pagana, in particolare di tipo celto-germanico.

Hellequin e la sua “masnada” sono descritti anche dal monaco anglo-francese Orderico Vitale (1075-1142), che riporta la testimonianza del prete normanno Walchelin, il quale avrebbe incontrato il corteo la notte del 1° gennaio 1091, mentre ritornava da una visita a un malato della sua parrocchia.

Tracce di questa famiglia si sono conservate fino al nostro tempo, nei cortei carnevaleschi(3) e nella festa di Halloween. Le origini occidentali della danza macabra forse sono debitrici dell’iconografia orientale, dove scheletri e demoni vengono raffigurati danzanti con persone già dal X secolo(4).

Nei “treni” apocalittici(5) la morte è intesa come “monstrum”, un demone che si aggira nella dimensione allucinata del quotidiano. L’immaginario di questa proiezione coinvolge tutte le classi sociali del Medioevo e viene traslato anche nella recita pubblica, così che la popolazione esorcizzi la paura della scomparsa e dell’imminenza della morte, nelle piazze e nelle strade cittadine, per inscenare una processione non dimentica delle proprie ossessioni provenienti dal teatro del male.

Harlequin, il “monstrum” diabolico terrificante, conduce la sua famiglia in una danza tanatologica, portando a galla l’ossessione della coscienza e del limite umano(6). In Occidente, nel XII secolo, coppie danzanti, formate da un morto e da un vivente, sono presenti in opere poetiche in forma di poemetto, come, per esempio, Les vers de la mort(7), composto dal monaco cistercense Hélinard de Froidmont tra il 1194 e il 1197.

Adi è un poema arabo scritto attorno al 580, una fonte primaria da cui la cultura occidentale può aver tratto il motto che i cadaveri o gli scheletri dicono ai vivi: «Noi fummo ciò che voi siete e voi sarete ciò che noi siamo»(8). Nelle danze macabre ogni individuo incontra il proprio cadavere. In questo incontro con lo specchio della morte, spesso, il senso ironico espresso dallo scheletro sorridente si contrappone al viso melanconico del vivente, costretto ad abbandonare le persone e le cose care.

L’iconografia della danza macabra intende definire il valore egalitario della morte, dove ogni vivente riceve dal suo scheletro – inteso come suo “doppio” – un ammonimento “ad personam”. Le traduzioni visuali delle danze macabre e dei Trionfi della Morte erano mutuate anche dalle prediche che dispiegavano un’omiletica esemplata di ripugnante realismo e di inquietanti umori cimiteriali. Il tema della morte veniva snocciolato a un uditorio convocato vicino a una fossa comune o a un cimitero. La paura di morire è fortemente associata visivamente a immagini della bruttezza estetica.


Giacomo Busca detto il Borlone, Trionfo della Morte e danza macabra (1484-1485), particolari; Clusone (Bergamo), oratorio dei Disciplini.