AL DI LÀ DEL GUSTO
PERSONALE, LA BRUTTEZZA

Utilizzare la parola “brutto” nel nostro tempo è un’operazione più complessa di quello che sembra in prima battuta.

Soprattutto anche alla luce di tutto quello che è stato messo in gioco a partire dalle avanguardie dei primi decenni del Novecento, che hanno disseminato numerose altre derive e svolgimenti fino al tempo attuale. Inoltre, esistono varie espressioni e sfumature inerenti alla bruttezza: il brutto in sé, il brutto formale, il brutto artistico, la bruttezza derivata dalla deformazione delle immagini, opere ben realizzate ma che contengono una bruttezza etica, altre opere che prima erano considerate riuscite e importanti ma poi si sono svuotate di senso (o invecchiate tanto da non essere più in grado di dire ancora qualcosa di attuale) e agli occhi odierni appaiono brutte, belle rappresentazioni di cose brutte e brutte rappresentazioni di cose belle, brutte traduzioni interpretative della realtà, e così via. L’idea del brutto, come quella della bellezza, è soggettiva o ci sono forme – le hanno sempre associate all’archetipo, ma ora non è poi così certo che questa parola abbia ancora l’aura di un tempo – che vanno al di là del gusto personale degli umani (e forse anche di un animale, un vegetale o una intelligenza artificiale)? In ogni epoca ci sono sempre stati filosofi, artisti, intellettuali o letterati che hanno cercato di definire o mostrare cosa fosse il bello, specificando anche quale fosse la controparte o il suo contrario, ovvero il brutto o l’antibello. Ma a prescindere dalla proiezione di ogni singola persona e dal gusto del tempo in cui si è formato il suo senso estetico, chi o cosa veramente può definire con certezza cosa sia bello o brutto dentro un flusso in continua metamorfosi e in perenne divenire? Abbiamo molti esempi di come cambi in fretta il gusto delle persone grazie alle strategie del capitalismo, che con magistrali campagne pubblicitarie, articoli nei giornali, trame nei film, e immagini subliminali in rete e sui social, riesce sempre a instillare nella massa desideri indotti. Altre prove di come anche la bruttezza (intesa nell’accezione di altro tipo di bellezza) possa essere sdoganata o imposta come modello creativo e poi assorbita e apprezzata dalla massa sono per esempio le collezioni, campagne e sfilate di moda ideate da Miuccia Prada (l’idea dell’“ugly chic” negli anni Novanta), Balenciaga, Vivienne Westwood e da altri stilisti che hanno elevato il cattivo gusto, fino a esasperarlo e reinterpretarlo attraverso numerose declinazioni e forme.

Le élite intellettuali del XX secolo hanno redento il cattivo gusto di ieri e lo hanno traghettato nel bello del loro tempo. Esempi di queste rivalutazioni a posteriori sono le opere “camp” e “pompier”. Grazie alle sperimentazioni delle avanguardie del XX secolo e alle azioni di rottura con la tradizione, dal momento in cui l’importanza estetica è stata relegata in secondo piano rispetto alle questioni concettuali, anche la bruttezza è stata legittimata e accettata dal sistema dell’arte: dall’orinatoio ready made Fontana (1917) di Marcel Duchamp all’estetica dello scarto di Andy Warhol e al Negozio (1961) di Claes Oldenburg, dall’Art Brut di Jean Dubuffet (la “scandalosa” mostra Mirobolus, Macadam et Cie, Hautes Pâtes, del 1946) alle performance dell’azionismo viennese (Günter Brus, Otto Mühl, Hermann Nitsch, negli anni Sessanta), dai Piccoli rifiuti borghesi di Philippe Arman ai pavimenti di vomito e scarti (Untitled #175, 2012) di Cindy Sherman, dalla Merda d’artista (1961) di Piero Manzoni alle feci monumentali realizzate nel 2018 dal collettivo austriaco Gelatin e a Excremento y Caviar (2011) di Wilfredo Prieto, dal film Freaks (1932) di Tod Browning al Portrait of a Dwarf (1987) di Joel-Peter Witkin, dal Child (1959-1960) di Bruce Conner alla Fillette (1968) di Louise Bourgeois.


Salvator Rosa, La strega (1640-1649); Roma, Musei capitolini.


Quentin Metsys, Donna grottesca (o La duchessa brutta) (1513 circa); Londra, National Gallery.


Piero Manzoni, Merda d’artista (1961); Milano, Museo del Novecento.