“BLACKAMOORS”
E LA BRUTTEZZA DEL RAZZISMO

Il canone della storia dell’arte si è per lungo tempo fondato su categorie legate alla “bellezza” e all’“universale”, ma in un certo momento della contemporaneità qualcosa è cambiato.

L’emergere dell’arte globale ha annunciato la fine della storia dell’arte in quanto disciplina dipendente dalle narrazioni occidentali “universali”, le quali hanno decretato la loro idea di bello “come se fosse universale”. Quando viene meno il senso della storia dell’arte “universale”, allora i suoi attributi e categorie vengono criticate. Per fare questo andremo in tre luoghi: a Venezia, in Portogallo e in Brasile.

“Blackamoor”(19) è la caricatura di uomo nero inglobata nell’arte decorativa europea della prima modernità (XVI-XIX secolo), coincidente con il periodo delle espansioni coloniali, figura intesa come una variante esotica di Atlante, se non fosse che in genere la figura scolpita ha una funzione servile e porta qualcosa, di solito un vassoio, o sostiene candele e apparecchi di illuminazione. In certi casi la posizione di sottomissione dello schiavo nero fa di esso uno scranno: vi sono molti esempi di sgabelli dove la figura umana si contorce come un giocoliere per sostenere la seduta. Si tratta di una forma di pessimo design condita da una componente razziale estremamente aggressiva, che ripropone la visione coloniale razzista, romanticizzando sul trattamento degli schiavi e sulla vita nelle colonie.

Nonostante si tratti di oggetti estremamente razzisti, una forma di aggressione estetica che ripropone una forma di lusso di un vecchio mondo coloniale europeo, questi oggetti continuano a essere prodotti (anche sospinti dalla corrente neobarocca americana del XX secolo, il cui mercato online è particolarmente fiorente in Texas e Connecticut), in forme più economiche, e Venezia è il loro principale “hub” riproduttivo. Il corpo del soggetto africano è solitamente riprodotto nella sua interezza, talvolta in posizioni che sarebbero molto difficili da mantenere per un tempo prolungato, in attività di servitù. Altre opere che congelano o bloccano le immagini dei soggetti africani sono le “milanesi”, spille ornamentali di Girolamo Miseroni (XVI secolo). Forse a questa tipologia pensavano Dolce e Gabbana quando inserirono la caricatura di una donna nera in un loro orecchino nella collezione primavera/estate del 2012, operazione che sollevò un’ondata di indignazione. Il più noto tra gli artisti di “Blackamoors” è uno dei protagonisti del Barocco veneziano, ossia Andrea Brustolon (1662-1732). È proprio l’ostentazione barocca a ricercare l’esotismo del corpo nero, imprimendolo in materiali quali ebano e argento. Come è noto, è stato il Portogallo che diede il via nel XV secolo alla deportazione di schiavi dall’Africa occidentale verso il proprio regno, per poi aprire un mercato umano diretto e verso l’Europa e verso il Brasile. Bartolomeo Marchionni (1450-1530), operante per il banco toscano Cambini, fu uno degli agenti più noti di questa tratta. “Blackamoors” sono presenti a Venezia, dove sono caratterizzati per la loro produzione in legno, e in Portogallo, dove sono stati prodotti principalmente in porcellana: la stessa idea razziale è stata impressa e articolata in due materiali distinti nel Vecchio continente.


Andrea Brustolon, consolle per vasi (1700-1706 circa); Venezia, Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento veneziano.


Antoon van Dyck, Ritratto della marchesa Elena Grimaldi Cattaneo (1623), particolare; Washington, National Gallery of Art.