Il “bel composto”

Per le statue ordinate da Scipione Borghese, Bernini aveva studiato una collocazione nelle sale della villa (poi banalmente modificata) che mirava a ottenere l’illuminazione ottimale dalle finestre e soprattutto a istituire un rapporto “con” gli ambienti e un rapporto con l’accesso del visitatore “negli” ambienti tale da valorizzare l’effetto del moto “contrapposto” delle azioni rappresentate.

Per la Santa Bibiana, l’apertura d’una finestrina nell’arco sovrastante l’altare determina un fascio di luce verso cui si indirizza lo sguardo della santa: la luce reale diviene la luce trascendentale della visione estatica.

Sono questi i primi segni di un criterio compositivo che guiderà in senso unitario le fasi del lungo intervento nella basilica di San Pietro, dal baldacchino alle “logge” della crociera, alla decorazione della navata e infine alla cattedra.

Una più compiuta e serrata dimostrazione di tale criterio si avrà nella cappella Raimondi a San Pietro in Montorio (1640- 1647). Bernini lasciò ad Andrea Bolgi e a Nicolas Sale l’esecuzione delle tombe dei monsignori Gerolamo e Francesco Raimondi e a Francesco Baratta quella del rilievo sull’altare con l’Estasi di san Francesco, ma si concentrò tutto nel creare una partitura architettonica unitaria, definita dalla trabeazione, dallo stilobate con un fregio simbolico, dalle semicolonne e anche dal disegno del pavimento.

Il rilievo concavo sull’altare conchiude, entro una specie di tabernacolo, questa definizione spaziale e prendeva luce da due finestre laterali (quella a destra è stata poi murata!). Al candore dei marmi e delle pareti, esaltato da queste luci morbide (anche la singolare concavità del rilievo sull’altare serve ad attenuare i contrasti d’ombre), fa riscontro, solo contrappunto cromatico, la decorazione pittorica e a stucchi della vòlta che s’apre nella porzione centrale, determinando uno spazio ulteriore, trascendentale, con la raffigurazione della Gloria celeste di san Francesco (“Franciscus alter Christus”) dipinta da Guidubaldo Abatini e Giovanni Francesco Romanelli.

L’integrazione oggettiva e rigorosamente tematica tra l’ambiente, le sculture e la decorazione pittorica corrisponde già a pieno a un proposito globale della rappresentazione artistica decisamente innovativo e anticonvenzionale, e del quale – come ricordano i primi biografi, Domenico Bernini e Filippo Baldinucci – Bernini ebbe lucida consapevolezza: «È concetto molto universale ch’egli sia stato il primo, che abbia tentato di unire l’architettura colla scultura e pittura in tal modo, che di tutte si facesse un bel composto; il che egli fece con togliere alcune uniformità odiose di attitudini, rompendole talora senza violare le buone regole, ma senza obbligarsi a regola; ed era suo detto ordinario in tal proposito, che chi non esce talvolta dalla regola non la passa mai; voleva però, che chi non era insieme pittore e scultore, a ciò non si cimentasse, ma si stesse fermo ne’ buoni precetti dell’arte». Questo proposito divenne un metodo progettuale e un principio estetico (ultimamente ben analizzati da Irving Lavin) peculiarmente connotativi dell’opera matura di Bernini, il quale ne darà la più compiuta manifestazione in quella che, con ironica immodestia, egli definirà la sua «men cattiva Opera», la cappella Cornaro.

La trasformazione del transetto sinistro della chiesa carmelitana di Santa Maria della Vittoria, commissionata dal cardinal Federico Cornaro (Corner), rispetta gli schemi di base che Carlo Maderno, progettista della chiesa, aveva stabilito per tutte le altre cappelle. È però il significato teologico, in parte suggerito dal nobile cardinale veneziano, a dare il senso della innovazione compositiva: alla dedicazione a santa Teresa d’Avila, fondatrice dell’ordine carmelitano, si associa la celebrazione della famiglia Corner, i sette cardinali compreso lo stesso Federico, e il doge Giovanni suo padre, che non sono qui sepolti: questa non è una cappella funeraria in senso proprio, ma un sito commemorativo. I cardinali e il doge sono così raffigurati come viventi, in devoti colloqui tra di loro; si affacciano da “coretti” oltre i quali si scorgono maestose architetture in prospettiva convergente verso l’altare della cappella: sono entro spazi fittizi, che ulteriormente dilatano lo spazio dell’ambiente reale. La loro presenza è evocata, ma figurano come testimoni attivi dell’evento mistico della Transverberazione di santa Teresa che si compie sull’altare, entro una nicchia ovale racchiusa dall’andamento convesso delle colonne binate e del timpano.


Cappella Cornaro (1647-1651); Roma Santa Maria della Vittoria. Si può considerare il manifesto del concetto berniniano del “bel composto”, dell’unità tematica e visiva tra architettura, scultura, pittura e decorazione.

Cappella Raimondi (1640-1647), con l’Estasi di san Francesco (1646) di Francesco Baratta; Roma, San Pietro in Montorio.