Gian Lorenzo Bernini nacque in questa città il 7 dicembre 1598. Fin dall’infanzia egli ebbe dunque quotidiana dimestichezza con la pratica della scultura, assistendo alla lenta evoluzione del padre dai modi ancora ispirati alla tradizione rinascimentale toscana a invenzioni che, quasi già scavalcando il generico formulario manierista di quel momento, approdavano alla patetica serietà della “riforma cattolica”: una evoluzione che dalle statue di San Lorenzo e di Santo Stefano nel duomo di Amalfi (1602) e a quelle di altri santi nella cappella Ruffo della chiesa dei Gerolamini a Napoli (1603-1606) sapeva svolgersi sino alla grandiosa Madonna col Bambino e san Giovannino nella certosa di San Martino, pure a Napoli.
Non è pensabile che Gian Lorenzo fanciullo sia stato altro che un testimone del lavoro del padre: fu un testimone attento, che già si sentiva suscitare la vocazione artistica e si rendeva consapevole della intrinseca natura del “mestiere”.
La sua formazione si compirà piuttosto, e sempre nell’ambito paterno, a Roma, ove la famiglia s’era trasferita nel 1605-1606, quando Pietro svilupperà i suoi intendimenti di rappresentazione monumentale nel rilievo con l’Assunta nel battistero di Santa Maria Maggiore e nella faticata elaborazione dell’altro rilievo con l’Incoronazione di Clemente VIII sulla tomba del pontefice nella cappella Paolina della stessa basilica di Santa Maria Maggiore (1611).
Il cantiere della cappella Paolina – ordinata da papa Paolo V Borghese per ospitarvi anche il proprio sepolcro – offriva l’esempio di un ampio concorso di scultori, pittori e decoratori che l’architetto Flaminio Ponzio coordinava in una coerente coralità, pur nel divario tra le singole personalità.
Proprio questa coralità e la sapienza della regia del Ponzio dovettero maggiormente interessare Gian Lorenzo e anche indurlo a discernere, almeno tra gli scultori, quelli che erano portatori di caratteri più moderni (Nicolas Cordier, Cristoforo Stati, Stefano Maderno, Camillo Mariani e Francesco Mochi) da quelli che invece s’attardavano sulla consuetudine della “maniera” (il Valsoldo, Ambrogio Buonvicino, Silla da Viggiù).
Il rapporto tra Gian Lorenzo e il padre si trasformava intanto da un discepolato a una fattiva collaborazione. Se anche non convincono le ipotesi che vorrebbero l’intervento del figlio nel completamento della già ricordata Madonna col Bambino e san Giovannino della certosa di San Martino a Napoli, e tanto meno nella esecuzione del busto di Antonio Coppola in San Giovanni dei Fiorentini a Roma, pagato a Pietro nel 1612, più probabilmente sono di Gian Lorenzo i cesti di fiori e frutta nei due “termini” raffiguranti Priapo e Flora che Pietro aveva scolpito per la villa Borghese a Roma (1615-1616) e che sono ora nel Metropolitan Museum di New York, e le analoghe “nature morte” nelle statue delle Quattro stagioni della villa Aldobrandini a Frascati. Quel che vi si coglie è specialmente una turgidezza plastica e una evidenza naturalistica nella quale a ragione è stata riconosciuta l’attenzione per modelli caravaggeschi quale il Ragazzo con canestro di frutta già allora posseduto dal cardinale Scipione Borghese: anche il suggerimento all’osservazione di esempi pittorici veniva da Pietro, che sembra sia stato anche pittore e amico del Cavalier d’Arpino, e che giusto nel rilievo dell’Assunta a Santa Maria Maggiore s’era ispirato a dipinti del Siciolante da Sermoneta e di Giovan Battista Ricci.
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