Il mestIere
 dell’arte

La quantità e la specifica natura delle opere di Bernini richiedevano eccezionali doti di progettazione e di organizzazione.

Come per gli altri suoi colleghi, le fasi preparatorie comportavano una folta produzione di disegni, bozzetti, “legnetti” e altre matrici per le fusioni, calchi, modelli di stucco o di gesso in scala ridotta e poi talvolta a grandezza reale per essere esposti in prova nelle collocazioni alle quali erano destinate le redazioni definitive; e poi seguiva il duro lavoro del marmo – dalla scelta dei blocchi alla sgrossatura, alle rifiniture – al quale Bernini non si sottrasse totalmente neppure nei suoi ultimissimi anni. E con tutto questo, la soluzione di problemi tecnici tutt’affatto nuovi, come per la fusione delle immense colonne del baldacchino o la illuminazione controllata delle cappelle Raimondi e Cornaro.

Nel caso particolare di Bernini, la sempre più stretta inerenza della scultura con l’architettura e la pittura, che conduceva al “bel composto”, rendeva ancora più impegnativa ogni predisposizione di lavoro e richiedeva poi l’ampio concorso di collaboratori, anche se sovente i contratti con i committenti imponevano che l’opera ordinata fosse di «sua propria mano» (ma la frase, dal senso letterale, passava a significare: di sua invenzione, secondo il suo “concetto”, sotto il suo controllo).

La bottega di Bernini non ebbe mai un organico permanente: certo al suo fianco egli ebbe a lungo il padre e, per minute occorrenze, il fratello Luigi; qualche scultore – come Andrea Bolgi dapprima e poi Pietro Naldini, Giulio Cartari e Antonio Raggi – dette una più continuata collaborazione, ma furono ingaggiati anche altri che avevano pure una cospicua attività propria o erano impegnati in altre collaborazioni (è per esempio il caso di Ercole Ferrata, che lavorò con l’Algardi al Monumento di Leone XI).

Occorreva naturalmente una sintonia sicura, una intelligenza dei collaboratori circa la qualità peculiare dei progetti berniniani: non la loro pedissequa subordinazione. Infatti, Bernini non fu mai un “maestro” nel senso ancora rinascimentale, ma al suo fianco si formarono almeno due generazioni di “giovani”, com’egli li chiamava, e si maturarono tanti altri scultori già esperti.

Eppure, nelle imprese collettive da lui ideate e guidate, tutto «è» Bernini. Nella realizzazione la coralità da lui diretta compone l’attività di così tanti collaboratori anche di spiccata individualità in stretta coesione d’immagine, al punto che non di rado le attribuzioni alle singole “mani” si accertano solo dai documenti; e gli scarti qualitativi non sono mai tali da compromettere la sostanza di quella coesione.

Affinché ciò si conseguisse, era occorsa una foltissima esternazione di “concetti” e di progetti. Con i disegni, innanzitutto. Ce ne restano molti (in gran parte conservati nel Museum der bildenden Künste a Lipsia e a Windsor Castle) ed è interessante notare come in genere si tratti di appunti essenziali, solo talvolta fatti tradurre in dettaglio dagli aiuti stessi.

È naturale che per le opere che intese eseguire personalmente, come la Verità, la Transverberazione di santa Teresa, i santi della cappella Chigi a Siena, bastassero a Bernini disegni che avessero il carattere di prime annotazioni, lo sviluppo delle quali si sarebbe dato sul filo della crescita dell’idea creativa, nell’atto stesso operativo. Anche se non ci restano disegni per tante altre opere effettivamente «di sua propria mano», si suppone che pure ne abbia fatti nella stessa forma di appunti.

E però anche per opere affidate all’esecuzione di altri, Bernini fornì appunti sommari, rapidissimi schizzi come quello per i Cherubini della navata di San Pietro, evidentemente confidando nella capacità dei suoi collaboratori di intendere il “concetto” nella sua intima interezza, anche quando poi occorsero modifiche in corso d’opera, che pure denotano un non esiguo margine di libertà interpretativa: come palesa il rapporto tra la Sant’Orsola di Giovanni Antonio Mari a Santa Maria del Popolo e il relativo disegno berniniano. Anche negli ultimi suoi anni Bernini dette suggerimenti grafici per le statue del colonnato di San Pietro, almeno per la Santa Maria Egiziaca e per la Santa Fabiola. Il momento ideativo trapassava sollecitamente dai disegni ai piccoli bozzetti di terracotta, un mezzo progettuale certo più congeniale.


Angelo con Inri (1668), bozzetto; Forth Worth, Kimbell Art Museum.

Luigi XIV a cavallo (1670), bozzetto; Roma, Galleria Borghese.

Modelli degli angeli della cattedra di San Pietro (1667-1668); Città del Vaticano, Musei vaticani.