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Il linguaggio di Bosch è ancora più vasto e articolato di quanto non sia stato possibile indicare fin qui.

Dalle sue opere traspare una notevole familiarità con i costumi, le leggende e le tradizioni di ambiente ebraico, così come si manifesta una particolare inclinazione per sant’Antonio, sottolineata fra l’altro dal ricorrere del “tau” (la T greca) degli antoniani sulla veste del santo(23). Che questa propensione antoniana sia o meno legata al padre (che si chiamava Antonio) è tutto da dimostrare, esattamente come il presunto complesso di Edipo, che avrebbe condizionato Bosch e che resta ipotesi gratuita.

Fra i segni, oltre al “tau” e alla misteriosa “M” sulle lame dei coltelli(24), ne ricorrono alcuni che, sempre che siano di sua mano, sembrano segni magici (per esempio, il gruppo di segni nel tavolo rovesciato dell’Inferno musicale). Altri, come la mezzaluna o il piede mozzo, hanno verosimilmente significati precisi: il primo, con riferimento all’islam, ha valore di eresia e di scisma; il secondo si riferisce alle malattie mutilanti, alla giustizia punitiva, alla condizione di miseria e disgrazia. Tuttavia, nella pittura di Bosch, il piede mozzo ha un valore ulteriore almeno in un caso: quello dell’uomo con un alto cappello a cilindro che osserva (e suscita) la scena magica che avvolge il tormentato sant’Antonio di Lisbona. Perché, in questo caso, indipendentemente dagli effetti devastanti dell’allora terribile “fuoco di sant’Antonio”, la somma dei valori tradizionali, antichissimi, connessi col piede e accolti nella tradizione cristiana ne fanno l’arto che accoglie le radiazioni della terra, così come quando il Cristo Pantocrator a piedi nudi santifica l’universo da lui creato e la Vergine schiaccia col tallone la testa del serpente. Ora, il piede tronco e sanguinante posto su un panno bianco davanti al personaggio indica che tutta questa somma di valori, basati sul contatto e il dominio, viene meno. L’uomo in tuba è colui che ha troncato l’ordine delle cose e, con la sua forza magica, ne instaura un altro, illusorio, allucinatorio, in linea con un insieme di tradizioni magiche ben note anche nelle Fiandre ma di origine orientale. Altro motivo, circoscritto al Trittico delle delizie ma di notevole valore (sarà ripreso anche da Bruegel), è quello degli esseri chiusi in bolle vitree: un ricordo degli spiriti e dei demoni chiusi in fiale o bottigliette di vetro di cui si parlava fin dal tempo di Salomone e poi diffuso nel mondo islamico e in quello cristiano.
Fra gli altri mezzi espressivi di Bosch, poi, c’è il cosiddetto “simbolismo proporzionale” per il quale oggetti piccoli diventano giganteschi. A questo vanno affiancati altri strumenti simbolici come il motivo degli eserciti che si muovono in distanza sullo sfondo di varie composizioni e quello degli incendi che compaiono più volte in correlazione con fatti demoniaci: due riflessi delle guerre che coinvolsero le terre di Fiandra e lo stesso Brabante (compreso ’s-Hertogenbosch)(25).

È altrettanto plausibile che l’affermarsi del potere asburgico in conseguenza del matrimonio fra Maria di Borgogna e Massimiliano d’Austria (1477) abbia suscitato reazioni, urti e violenze che incisero sull’animo di Bosch. L’intrusione austriaca, sostenuta dai lanzi tedeschi e spagnoli, non fu certamente gradita dai concittadini del pittore, che il nostro Lodovico Guicciardini considerava «bravi a piedi e a cavallo», molto bellicosi e, per quanto gentili e raffinati, non immemori dell’antica «ferocia».

Dal canto suo, nella sua polemica anticlericale, Bosch mostra una profonda ostilità per l’ordine dei domenicani, che appaiono come ladri, scrofe infernali, persecutori del Cristo. Non è improbabile che questa scelta nasca da un risvolto libertario e antiasburgico (dati i buoni rapporti fra l’ordine e la casa d’Austria), oltreché per una ripulsa dell’attività persecutoria dei “cani del Signore” (i Domini-canes) nei confronti di streghe, maghi ed eretici in generale, sgradita a Bosch. Molto importante, con un’ampia gamma di valori simbolici, è l’uso che Bosch fa dello specchio. In un particolare dell’ormai citatissimo Inferno musicale, una donna nuda, con un rospo sull’alto del petto, stretta da un demone bestiale, si riflette (con quel diavolo) in uno specchio nero, bombato, legato con una fascia al sedere di un’altra figura demoniaca i cui piedi sono trasformati in rami secchi. C’è un’irrisione allo specchio (divenuto il “copri-fondelli” del verde essere demoniaco) che qui non è certamente né lo specchio della Sapienza della tradizione biblica, né uno strumento esorcizzante; ma è da porre piuttosto sulla linea di una tradizione popolaresca che in Francia affermava: «Le miroir est le vray cul du Diable». 



Le tentazioni di sant’Antonio (1510-1515); Madrid, Museo del Prado. A prescindere dall’autografia di questa tavola su cui non tutti concordano, dalle opere di Bosch traspare una predilezione per l’immagine di sant’Antonio. Una propensione che potrebbe essere legata al padre (che si chiamava appunto Antonio).

Le tentazioni di sant’Antonio, pannello centrale del Trittico delle tentazioni di sant’Antonio (dopo il 1501), particolare; Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga.