Nel 2016, in occasione dei cinquecento anni dalla scomparsa di Jeroen Antoniszoon van Aken, noto come Hieronymus Bosch (1453 circa - 1516), un grande evento intitolato, per l’appunto, Jheronimus Bosch 500 porta nella cittadina di ’s-Hertogenbosch, nel Brabante settentrionale, patria dell’artista, alcuni dei suoi capolavori, provenienti da tutto il mondo; in particolare la Cura della follia e le Tentazioni di sant’Antonio (Madrid, Museo del Prado), la Nave dei folli (Parigi, Musée du Louvre), la Morte di un avaro (Washington, National Gallery of Art) e il Trittico degli eremiti (Venezia, Gallerie dell’Accademia). La mostra – presso il Noordbrabants Museum di ’s-Hertogenbosch dal titolo Jheronimus Bosch. Visioni di un genio (13 febbraio - 8 maggio 2016) – è il risultato di un lungo lavoro di ricerca, iniziato già dal 2007 con la costituzione del Bosch Research and Conservation Project (BRCP), che ha impegnato ricercatori di tutto il mondo nello studio e, soprattutto, nel reperimento di documenti utili a chiarire il lacunoso percorso artistico del maestro fiammingo. Grandi sforzi, nell’ambito dello stesso progetto, sono stati finalizzati alla conservazione delle sue opere con importanti campagne di restauro. Così, un gruppo di cinque ricercatori, fra storici dell’arte, conservatori e restauratori, coordinati da Matthijs Ilsink del Noordbrabants Museum, hanno monitorato e migliorato le condizioni di molti dei capolavori di Bosch. In quest’ottica si è proceduto, già dal 2013, al restauro delle opere “veneziane”: il Trittico degli eremiti, il Trittico di santa Liberata (entrambi alle Gallerie dell’Accademia) e le quattro Visioni dell’aldilà (tutte a palazzo Grimani), giacché già da allora è stato firmato un protocollo d’intesa fra Italia e Olanda in vista delle celebrazioni per il quinto centenario della morte del grande pittore. Ora, se quello del 2016 è l’evento culmine di un percorso già da tempo intrapreso, va detto che i ventott’anni che lo separano dalla prima pubblicazione del Dossier di Mario Bussagli, sono stati punteggiati da alcuni testi e da alcune mostre significativi che hanno scalfito poco o nulla l’alone di mistero che avvolge la figura del grande maestro, anche se importanti risultati scientifici sono stati raggiunti. Se ne dà qui conto sommario rimandando alla bibliografia le citazioni per esteso dei libri e degli eventi. In sostanza, due sono state le novità che hanno messo in fermento il mondo scientifico. La prima è l’ipotesi di Frédéric Elsig, dell’Università di Ginevra, che, per tentare di far luce sul problema annoso della cronologia delle opere di Bosch, nel 2004 pubblica una ricerca (la sua tesi di dottorato) partita dal presupposto che l’unico documento certo, quello del 1504 nel quale si riferisce del pagamento per una tavola dipinta commissionata da Filippo il Bello, si riferisca al trittico di Vienna. L’opera sarebbe così datata ventidue anni dopo il canonico 1482, nel quale la colloca buona parte degli storici. Elsig, su questa base, ridisegna la cronologia del maestro individuando tre gruppi: uno precedente al 1504 con le prime opere, uno successivo, fino al 1510, e il terzo da questa data fino al 1525 che include anche opere di bottega. Non tutti, però, sono d’accordo con questa nuova lettura (per esempio Albert Châtelet) giacché le analisi dendrologiche ribadiscono, per il legno, la data canonica, sicché alcuni studiosi considerano il trittico di Vienna una delle possibili versioni del soggetto, precedenti rispetto all’originale (perduto) di Filippo il Bello. L’analisi dendrologica, ossia il metodo che permette la datazione del legno, dal 2001 è stato un elemento che ha anche prodotto esclusioni eccellenti dal catalogo del pittore fiammingo. Così, per esempio, la celebre Incoronazione di spine di San Lorenzo all’Escorial, oppure le Nozze di Cana di Rotterdam, da sempre considerate autografe, sono ritenute invece opere di seguaci perché l’analisi dendrologica data le tavole agli anni Trenta e Cinquanta del XVI secolo. In questi casi l’analisi è risolutiva, ma va precisato che la datazione del legno, se cade nell’arco di attività del maestro, non necessariamente corrisponde a quella della stesura pittorica. Nel 2001 a Bosch è stata dedicata una mostra a Rotterdam (Hieronymus Bosch. The Complete Paintings and Drawings) tesa a illustrare anche l’effetto della lezione pittorica del maestro nel XX secolo (dal surrealismo a Frida Kalho), ma pure diretta a fare il punto della situazione critica (con un bel libro a cura di Jos Koldeweij e di altri). Nel 2010 a Venezia, nella sede di palazzo Grimani, l’allora soprintendente Vittorio Sgarbi ha riunito le opere “veneziane”, che il pubblico aveva quasi dimenticato. Dal punto di vista bibliografico, oltre a quanto già segnalato, si deve ricordare il monumentale libro di Stephan Fischer (2013, tradotto in italiano l’anno dopo) sull’opera completa dell’artista. Lo studioso, che sposa la tesi cronologica di Elsig senza dichiararlo esplicitamente, ha pubblicato tutti i documenti noti e si è dedicato all’analisi delle scene minori nelle affollatissime opere di Bosch, legate alla cultura dei proverbi popolari cui attinse, come si sa, anche Brueghel. Di una decina d’anni prima (2003), ma ristampato nel 2007, è il bel libro di Roger van Schoute e Monique Verboomen centrato più sul contesto storico e sugli artisti vicini all’ambiente di riferimento del maestro. In quello stesso anno uscì pure l’agile testo di Laurinda Dixon che si era già occupata del simbolismo alchimistico delle pitture di Bosch nel 1981, con un lavoro sul Giardino delle delizie. Al 2004, invece, risale il testo di Franca Varallo dell’Università di Torino che, però, non tiene conto (né avrebbe potuto) delle posizioni di Elsig. Non si può, poi, non ricordare l’“opera completa” di Roger H. Marijnissen (1990) che ebbe varie edizioni. Infine, giova ricordare il Cd’Art, curato da chi scrive e pubblicato, pure nel 1990, da Giunti Multimedia per il quotidiano “La Repubblica”.
Marco Bussagli