LA BOTTEGA DI LISIPPO
A ROMA

Canova giunge a Roma il 4 novembre 1779: grazie ai puntuali diari di viaggio che ci ha lasciato, sappiamo cosa vide e cosa pensò, sappiamo che non si stancò di vedere tutto, botteghe di scultura, studi di pittura, musei, chiese, palazzi, e che già si faceva strada nella mente di questo giovane rispettoso, silenzioso, modesto, il pensiero di poter diventare, a Roma e grazie a Roma, il più grande scultore del suo tempo.

Non bisogna dar retta a chi scrisse, dopo Canova, che la scultura romana in quell’epoca non esisteva: da Bernini all’arrivo di Canova aveva al contrario attraversato una delle sue più intense stagioni, e basterebbero le tombe dei papi d’allora o il colossale trionfo di fontana di Trevi a dimostrarlo. Ma il Barocco e la continuazione settecentesca del barocchetto avevano aggiogato tutte le arti e le tecniche allo stesso carro dell’effetto generale: una tomba o una cappella romana doveva la sua magnificenza in egual misura all’architetto, allo scultore, agli stuccatori, ai bronzisti, ai tagliatori e impiallacciatori di marmi colorati.

L’idea della scultura come oggetto d’arte singolo, da ammirare così come si ammira un quadro, o meglio ancora da girare sul bilico per poterla guardare da tutte le parti, era qualcosa che riguardava ormai quasi solo le statue antiche, statue che non bastava però estrarre dalla terra come minerali preziosi, ma che avevano bisogno di quel restauro che allora diventò come mai prima un’imponente industria artistica. Si disse di Pio VI, il papa che regnava quando Canova giunse a Roma, che avesse acquistato duemila statue antiche per il museo vaticano ma che non ne avesse mai commissionata una a uno scultore vivente.

Non è propriamente vero, soprattutto se pensiamo quanto lavoro ha dato, proprio agli scultori, ognuna di quelle statue reintegrate nelle parti mancanti, ripensate con fantasia, dottrina, archeologia e gusto, rinettate e lustrate dalle ferite del tempo e degli uomini. Canova visitò tutti questi scultori, restauratori della fama di scultori morti duemila anni prima, mercanti fastosi al servizio di tutti coloro che in Europa potevano permettersi di arricchire le proprie residenze e le proprie gallerie seguendo i consigli di Winckelmann, di Plinio o più semplicemente di qualche intraprendente cicerone romano. Per avere un’idea di quanto vasta e accurata fosse questa industria basterebbe sfogliare le centinaia di tavole del catalogo monumentale di Bartolomeo Cavaceppi, decano dei

mercanti-restauratori di Roma, che Canova visitò nel suo palazzo, oppure leggere l’Istruzione Elementare per gli Studiosi di Scoltura di Francesco Carradori – colui che scolpì le braccia della Venere Medici – manuale in cui si descrivono anche tutti i trucchi e le tecniche per far rivivere una statua antica.

Tutto questo Canova osservò con pazienza, capendo soprattutto quale immenso potere di suggestione aveva ed era destinato ad avere l’antico. A vedere quanto si spendeva per una statua antica e quanto altamente se ne celebravano le meraviglie, ci si stupisce a pensare che solo Canova ebbe l’idea di diventare uno scultore antico vivente: scultore veneziano tradotto in greco, dissero subito per denigrarlo, ma era la verità, e non una verità da poco.

Non è un caso che il suo primo mentore e incoraggiatore sia stato Gavin Hamilton, un pittore scozzese che a Roma era diventato più che altro imprenditore di scavi archeologici, committente e socio dei restauratori e uomo di fiducia di quegli inglesi che da lui compravano le statue a centinaia di pezzi per volta.

Se qualcuno volesse andare a sfogliare il catalogo di vendita di una di queste raccolte, andata dispersa quasi novant’anni fa a Londra, cioè quella dei marchesi di Lansdowne, vedrebbe una dopo l’altra statue e statue antiche che sembrano rozze e scabrose imitazioni delle opere canoviane: un Paride che è un fratello rachitico di quello di Leningrado, un Marco Aurelio in posa eroica come il Napoleone colossale di Londra, una Matrona seduta che potrebbe essere una parente di quella Maria Luigia che a Parma occupa il trono della Concordia. Arrivando alle ultime pagine troviamo poi per davvero due opere di Canova, la Ninfa sdraiata (ora al Victoria and Albert Museum di Londra) e la seconda Venere Italica (ubicazione ignota) che fu di Luciano Bonaparte. L’effetto è scioccante, perché proprio in un contesto di antichità ci si rende conto che per i contemporanei il sovrano privilegio di arrivare a possedere un’opera di Canova era come poter andare a comandarla a Sicione alla bottega di Lisippo, scegliere il soggetto, e vedersela recapitata senza rotture, senza restauri, candida e lucente dell’ultima mano del lustratore. Che Lisippo facesse solo statue di bronzo era allora un particolare di cui non si teneva conto.


Perseo trionfante (1800-1801); Città del Vaticano, Musei vaticani, cortile ottagono. Quando l’Apollo del Belvedere fu spedito a Parigi assieme alle altre opere d’arte sottratte allo Stato pontificio, il Perseo di Canova fu collocato al suo posto.


Regole per cavare dalle misure qualunque lavoro di Scoltura, tavola dal manuale dello scultore Francesco Carradori Istruzione Elementare per gli Studiosi di Scoltura, 1802.