Tra quella e il trionfo ancora più clamoroso di quella di papa Rezzonico, il problema di Canova fu quello di
poter trovare formule abbastanza gentili ed eleganti per poter rifiutare il profluvio di richieste che gli piovvero d’allora in poi.
Canova
non si lasciò mai intimidire dai nomi altisonanti che richiedevano la sua opera: egli aveva a cuore la sua libertà di ricerca di perfezione e la sua
fama, l’unico guadagno di cui fu sempre avido, per amore della quale non importava a chi consegnasse un’opera sua, purché il committente si facesse
in qualche modo custode di quell’opera al servizio della curiosità e dell’ammirazione del mondo. In questa luce vanno letti i tanti aneddoti sulla
sua suscettibilità implacabile: Canova che vuol riprendersi il suo Ercole e Lica perché il banchiere Torlonia si era lamentato di averlo
pagato troppo; Canova che rifiuta le offerte del re di Polonia, della zarina di Russia, o persino di Napoleone pur di mantenere la propria
autonomia; Canova insomma che seppe sempre amministrare bene l’immenso patrimonio della sua notorietà, pur mantenendo di fronte a tutti la dolcezza dei modi
e della parlata nativa, la disarmante modestia che in un periodo storico come il suo, in cui le nazioni e gli Stati mutarono padrone così spesso e
con così imprevedibile rapidità, gli permise di essere tra tutti gli uomini uno dei più coerenti.
E sì che le sue statue cambiarono mano molto spesso, sequestrate dai francesi come beni inglesi (l’Amore e Psiche del Louvre), comprate dagli inglesi come souvenir napoleonici dopo Waterloo (il colosso di Napoleone nella casa di Wellington a Londra, il ritratto di Letizia Ramolino a Chatsworth), o addirittura mutate come il ritratto di Elisa Bonaparte che divenne una Musa Polimnia da recare in dono all’imperatrice d’Austria, o come il gran Cavallo che a Napoli avrebbe dovuto sostenere Napoleone
e sul quale finì per posarsi invece un re borbonico. A questi rivolgimenti Canova si adattò sempre con un lieve sorriso, che non fu mai piaggeria d’opportunismo, ma ironia e compassione nei confronti dei tragici paradossi della storia.
Canova a Roma ebbe presto coscienza d’essere illetterato e volle colmare le sue lacune facendosi insegnare l’inglese e il francese – il linguaggio dell’Europa che lo ammirò – e facendosi leggere, mentre lavorava, i classici greci e latini debitamente tradotti. Vedremo che effetto gli farà Omero, e intanto pensiamo a frugare in quei libri di descrizioni d’opere d’arte scritti in età ellenistica, che a Omero stanno come ai versi del Foscolo il diluvio di poesie encomiastiche dedicate a Canova. Quei testi antichi sono però sempre documenti di opere d’arte famosissime e perdute e non ci meravigliamo che a Canova servissero d’ispirazione per la sua personale competizione con gli artisti dell’antichità.
Apriamo per esempio una traduzione ottocentesca di Callistrato e andiamo a cercare la descrizione dell’Amore di Prassitele sull’Acropoli d’Atene: «Ogni cosa era a vedersi convertito secondo volontà dell’artefice, poiché del tutto molle sembrava, sebbene l’essenza di esso colla mollizie pugnasse [...] era nientemeno fatto pastoso in tutto. Anzi sopravanzava della natura i confini coll’assumere anche il respiro alla materia negato...». Per fortuna quello di Prassitele era di bronzo, altrimenti parrebbe veramente che Callistrato stesse descrivendo l’Amore di Canova, o meglio il ritratto del piccolo principe polacco Czartorinsky come Amore eseguito nel 1788 (Lancut, castello), oppure quello tratto dallo stesso modello poco dopo, con la variante della testa idealizzata, eseguito per il colonnello Campbell poi primo barone di Cawdor (Cambridge, Anglesey Abbey), o la replica di questo per i banchieri La Touche di Dublino di cui si sono perse le tracce. O forse ancora potrebbe essere quell’altra versione, con la variante delle ali e della decorazione più profusamente barbarica dell’arco che ben s’adattava ai gusti un po’ chiassosi del committente, il principe russo Yussupoff già fortunato possessore della seconda versione del gruppo di Amore e Psiche di Canova e futuro committente del Saffo e Faone di David (tutte opere passate all’Ermitage di San Pietroburgo). Escludiamo certamente la replica già nella collezione Sommariva, visto che alcune varianti e l’aggiunta di un serpente che si avvolge attorno al tronco mostrano che il soggetto dell’opera fu cambiato da Amore in giovane Apollo sauroctono.