CANOVA INNAMORATO

«Non posso lavorare se non per amore»

«E nelle statue finisce prima la testa; per potere (com’egli dice) innamorarsi del suo lavoro: perché (soggiunge) non posso lavorare se non per amore»: così scrive Pietro Giordani, nelle bellissime pagine del suo Panegirico ad Antonio Canova (1810). Dove il mistero della vita sentimentale di Canova si risolve in sacrificio per amore dell’arte anche se, tra le righe castigate ma non ipocrite di Giordani, si legge che almeno di tentazioni ce ne sono state molte.
Che egli morisse vergine come un santo e martire della fatica del lavoro non è certo impossibile, ma è stato detto da chi avrebbe voluto veramente vedere lo scultore compreso nel calendario con gli altri: in verità già ci sono, a proteggere la scultura, i santi Quattro Coronati che sotto Diocleziano si rifiutarono di scolpire le divinità pagane, e Canova in cielo vicino a costoro davvero non ce lo vediamo.
Certo una storia sentimentale di Canova esiste, ed è graziosa: dalle promesse non mantenute che egli ebbe con le giovani di Possagno alla prima modella che vide nuda per scolpire la sua Euridice, fino alla bella Domenica Volpato che a Roma lo tradiva già da fidanzata e per sorprendere la quale Canova si nascose nella gerla di un panettiere.
Maggior corpo prendono i pettegolezzi quando la vita di Canova si incontra con quella dei francesi, diversamente da noi generosi di lettere e diari confidenziali: e infatti egli si innamorò della più bella opera neoclassica fatta in quei tempi da madre natura, Giulietta Récamier, che Chateaubriand elevò nelle sue Memorie d’Oltretomba a monumento nazionale di Francia e che, esiliata da Parigi per ordine di Napoleone, venne a Roma nel 1813 come una «compensazione della Francia», sono parole di Chateaubriand, all’Italia privata delle sue più belle statue dell’antichità. Il cambio era allora decisamente sfavorevole.
In vacanza con lei ad Albano, commissionò al paesaggista Giovanni Battista Bassi una veduta con la finestra di Giulietta illuminata nella notte, l’ultima immagine che egli contemplava prima di addormentarsi. E Canova modellò un busto di lei che alla bella non piacque, offendendolo mortalmente. È strano pensare che anche David si seccò di lei e non finì mai il ritratto di Giulietta sdraiata sul sofà da allora in poi chiamato “récamier”, che è una delle più famose icone dello stile neoclassico. Canova cambiò il soggetto del busto in una Beatrice e si innamorò poco dopo di una baronessa spagnola, Minette d’Armendariz, per la quale corse più da vicino d’altre volte il rischio di sposarsi. Stendhal, così francamente com’è suo solito, dice senza dubbi che Canova era l’amante della signora Teresa Tambroni, moglie di Giuseppe, direttore dell’Accademia del regno d’Italia e caldo ammiratore di Canova. Sappiamo solo che fu lei a dare l’idea a Canova del gruppo delle Grazie e che lei volle un suo ritratto dipinto in tutta segretezza dal giovane Hayez per farne dono a Canova. Insomma, tanto vale che è meglio contentarsi delle parole di Giordani: Canova amò e fu pienamente riamato solo dalle sue statue.
M. F. A.


Madame Récamier come Beatrice (1813), gesso; Possagno (Treviso), Gypsotheca e Museo Antonio Canova.

Jacques-Louis David, Madame Récamier (1800); Parigi, Musée du Louvre.