la cappella contaRelli
in San luiGi Dei FRanceSi

Attraverso l’intervento di Pietro Paolo e Giacomo Crescenzi (esecutori testamentari delle volontà di Matteo Contarelli) e del cardinal Del Monte (il cui ruolo decisivo viene ricordato dal Baglione), Caravaggio ottenne nel luglio del 1599 la sua prima commissione pubblica: i due laterali con il Martirio di san Matteo e la Vocazione di san Matteo per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, la cui decorazione era stata lasciata interrotta nel 1593 dal Cavalier d’Arpino, che ne aveva affrescato soltanto il soffitto.

Nella cappella Contarelli, nell’estate del 1600, verranno collocate due scene sconvolgenti, tanto era impressionante il loro naturalismo; il Martirio proponeva un’immagine piena di personaggi che paiono in carne e ossa, con fonti di luci diverse, quasi intermittenti nei loro effetti drammatici e instabili, con un movimento centrifugo che parte dal centro scandaloso del quadro: il corpo nudo e bellissimo dell’aggressore, che sottomette il santo e lo fa scivolare in una zona scura sul primo piano, abitata da tre figure maschili, altrettanto nude, che costituiscono peraltro uno dei molti quesiti, spesso nemmeno enunciati, che il capolavoro propone. A Roma non si era mai visto nulla di simile e niente, nei precedenti dipinti del Merisi (tutte scene con pochi personaggi, come si è visto, di formato limitato e dal cromatismo chiaro), lasciava prevedere questo sorprendente risultato.

Il salto che il Martirio e la Vocazione fanno compiere alla storia dell’arte è, a mio avviso, il più clamoroso balzo mai compiuto da un unico artista; forse solo Masaccio nella cappella Brancacci al Carmine di Firenze aveva prodotto un simile stacco rispetto alla cultura precedente.

Sebbene a questa evoluzione così inaudita non si possa dare una spiegazione, se non col mistero insondabile di un genio smisurato (possibilità che io credo esista al di là della ricchezza del patrimonio culturale di cui un artista può disporre e su cui costruisce), è pensabile che il Caravaggio possa avere tratto ispirazione da qualche esperienza fatta in passato e di nuovo rivissuta. Nel 2010, in occasione della mostra fiorentina su Caravaggio e caravaggeschi mi sono chiesto se il Merisi, per affrontare un’immagine che doveva essere così articolata come quella del Martirio, con un ritmo così dinamico e un andamento ruotante (sarà questa la soluzione che alla fine lo convincerà, dopo due tentativi compositivi pressoché portati a termine, come rivelato dalle radiografie), non abbia sentito l’esigenza di confrontarsi con testi che egli poteva avere visto in precedenza, attingendo ancora al repertorio di immagini che colpirono i suoi anni giovanili e settentrionali. Ho ipotizzato che egli sia tornato a Venezia per rivedere soprattutto il Miracolo dello schiavo di Tintoretto, allora conservato presso la Scuola di San Marco (oggi a Venezia, Gallerie dell’Accademia). Ma a rivedere anche due grandi testi di Tiziano: l’affresco carico di violenza del Marito geloso che pugnala la moglie (Padova, Scuola del Santo) e il perduto Martirio di san Pietro Martire (allora nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo, noto attraverso incisioni e copie), dal quale il Caravaggio sembra prendere ispirazione per la figura atterrata di san Matteo.


Martirio di san Matteo (1599-1600), particolare; Roma, San Luigi dei Francesi.

Jacopo Robusti detto Tintoretto, Miracolo dello schiavo (1548); Venezia, Gallerie dell’Accademia. La grande tela di Tintoretto era probabilmente ben presente nella mente di Caravaggio quando affrontò la vorticosa scena del Martirio di san Matteo, piena di dinamismo e di agitata gestualità.