a napoli
e a Malta

L’arrivo di Caravaggio a Napoli fu probabilmente preparato (forse anche in questo caso dai Colonna), poiché immediatamente il pittore riceve importanti commissioni.

Il 6 ottobre (prima data sicura della sua presenza) firma il contratto per una pala d’altare per Nicolò Radolovich, che gli versa duecento scudi; la misteriosa opera non è stata identificata, mentre non ha precisi riferimenti di allogazione la grande Madonna del Rosario (oggi è a Vienna, Kunsthistorisches Museum) che nel 1607 si trovava sul mercato a Napoli, probabilmente già proprietà del pittore fiammingo Louis Finson, stretto amico di Caravaggio e suo seguace, che la portò con sé ad Amsterdam.

La furia esecutiva di Caravaggio, in questo suo nuovo inizio, lascia sbalorditi. A gennaio del 1607 riceve trecentosettanta ducati per il completamento della grande pala delle Sette opere di misericordia, per l’altare maggiore del Pio Monte della Misericordia. Un’opera complessa, piena di movimento e di figure, poiché concentra in un’unica scena tutte e sette le opere di misericordia: un vicolo che diventa una sorta di set teatrale in cui si intrecciano drammaticamente i casi e le vicende di vari personaggi. Nel maggio del 1607 un’altra importante commissione: Tommaso de Franchis versa duecentocinquanta ducati in acconto per una pala (sarà la Flagellazione oggi a Capodimonte) da sistemare sull’altare della cappella De Franchis in San Domenico Maggiore.

C’era ancora il tempo per un’altra, più piccola, pala d’altare, la Crocifissione di sant’Andrea acquistata dal vicerè di Napoli, il conte di Benavante (che possedeva altri quadri del Caravaggio), e da questi portata in Spagna nel 1610. Esiste una seconda versione (nota come Crocifissione Back Vega, dal proprietario che l’ha detenuta fra il 1953 e il 1963), verosimilmente appartenuta a Finson, che non se ne separò fino alla morte, al pari della Madonna del Rosario; nel 1617 essa veniva venduta dai suoi eredi ad Amsterdam come originale di Caravaggio. Un recente restauro ne ha messo in luce l’alta qualità e la libertà di alcuni brani, che non possono corrispondere all’esito di un copista; sono dunque propenso a considerarla un’opera autografa, forse eseguita per l’amico in contemporanea con la redazione Benavente. È possibile che la condanna ricevuta da Caravaggio per l’omicidio Tomassoni abbia agito da spinta per cercare a Malta, con la conquista del titolo di cavaliere, un riscatto morale un’assoluzione che gli avrebbe permesso di recuperare prestigio e, attraverso l’ottenimento della grazia pontificia, la libertà di muoversi e di tornare a Roma. Possibile che sia stato questo il movente, poiché altrimenti è davvero incomprensibile l’abbandono di un successo che a Napoli sembra essere stato ancora superiore che a Roma (compreso l’immediato seguito di artisti che cambieranno linguaggio alla luce delle novità caravaggesche, come Finson, Carlo Sellitto e soprattutto Battistello Caracciolo): cinque o sei pale d’altare realizzate in nemmeno dieci mesi di permanenza con una crescente impazienza esecutiva, con una pennellata sempre più rapida, che ricerca l’essenza dell’azione e mira alla severa monumentalità dell’immagine. A esse si aggiungono dipinti da stanza come il David con la testa di Golia di Vienna (per il quale sembra ancora posare Cecco del Caravaggio, che a mio parere aveva seguito il Merisi, dopo Paliano, anche a Napoli), la Salomè della National Gallery di Londra, la Flagellazione del Musée des Beaux-Arts di Rouen e una Giuditta non ancora rintracciata che nel 1607 si trovava sul mercato napoletano insieme alla Madonna del Rosario e che probabilmente apparteneva anch’essa a Finson.


Sette opere di misericordia (1606-1607); Napoli, Pio Monte della Misericordia.

Amore dormiente (1608); Firenze, palazzo Pitti, Galleria palatina.