Nella grande tela, purtroppo assai logorata malgrado il bel restauro recente, si accentua il sentimento tragico del pittore, con le figure sistemate come una cortina sul primo piano arretrato e un enorme spazio vuoto che le sovrasta; su una sorta di proscenio agiscono i due grandi corpi dei manovali che preparano la fossa in cui verrà calato quello senza vita della santa, disposto sul ciglio della buca. Il senso del dolore sta tutto in quella comunità silenziosa che si assiepa dietro la santa, con la verità di un sentimento senza tempo, mentre davanti contrasta l’attenzione indifferente dei due becchini, impegnati a compiere il lavoro e a sentire le indicazioni del vescovo che li guida da destra. La tavolozza è più che mai invasa dai toni bruni e rossi, cari al pittore, e particolarmente prediletti nei suoi anni finali, soprattutto nel periodo siciliano. Qui tutta l’atmosfera sembra come pervasa dalla luce di un fuoco che illumina e sgretola l’immagine; mirabile è la scansione dei piani, chiusi in fondo dall’altissima parete, forse ispirata alle latomie siracusane.
Caravaggio non doveva sentirsi al sicuro a Siracusa, forse già a fine novembre 1608 l’abbandona, per trovare una più stabile sistemazione a Messina, dove dall’inizio di quel mese aveva assunto l’incarico di priore dei Cavalieri di Malta un personaggio che dovette proteggere il pittore in città, favorendone forse il trasferimento: il fiorentino Antonio Martelli, protagonista del Ritratto di cavaliere di Malta oggi conservato a palazzo Pitti, che il pittore probabilmente eseguì proprio durante il soggiorno messinese.
A Messina Caravaggio realizzerà due grandi pale d’altare (entrambe conservate presso la locale Galleria regionale): la Resurrezione di Lazzaro, commissionata dal genovese Giovan Battista de’ Lazzari per i padri crociferi, ai quali veniva consegnata il 10 giugno 1609, e l’Adorazione dei pastori, che il Susinno dice ordinata dal Senato cittadino per l’altare maggiore della chiesa dei Cappuccini.
Nella Resurrezione è ancora più evidente, rispetto al Seppellimento siracusano, la disposizione dei personaggi tutti sul primo piano, secondo un andamento che evoca i fregi classici, soprattutto per la bellissima figura di Lazzaro, che sembra un eroe antico, nudo, con le braccia aperte, ancora indeciso se accettare il richiamo alla vita che gli intima Cristo o se lasciarsi andare e tornare all’oblio del sepolcro. Le figure si ammassano a sinistra, Cristo compie di nuovo il gesto – seppure in controparte – con cui chiamava Matteo nella Vocazione Contarelli, ma ora tutto è affogato in una luce scura, il grande vuoto domina questa umanità dolente, inquieta, non rallegrata dal miracolo. All’estrema sinistra un uomo si eleva in punta di piedi sulle altre teste: probabilmente è il volto di Caravaggio, in una delle sue apparizioni all’interno delle scene dei suoi quadri, quale testimone, ma anche attore partecipe, dell’azione. Era già accaduto nel Martirio di san Matteo (nell’uomo che viene trascinato via in fondo a sinistra e che si volta, con compassione e orrore, a guardare l’eccidio), nella Cattura di Cristo Mattei (nell’uomo all’estrema destra che tiene la lampada e si sporge per guardare il momento fatale del bacio di Giuda); accadrà ancora nel finale Martirio di sant’Orsola, nel volto sofferente e malato, con la bocca aperta, del personaggio che si incunea fra il soldato e la santa per guardare atterrito il boia che scocca la freccia.

