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periodo

Degas nasce nel 1834. Il padre, Pierre Auguste Hyacinthe de Gas, era un banchiere che nutriva profondi interessi nei confronti dell’arte e della musica.

L’artista vive nel benessere, come Manet. Forse dal dolore provato a causa della prematura morte della madre (1847) gli deriverà il profondo odio-amore nei confronti del sesso femminile, che è il grande interprete delle sue opere, ma che in molti casi è inteso solo come pretesto di pittura. Già dal 1853 esegue molte copie dei primitivi conservati al Louvre e studia per un periodo con Barrias, che probabilmente gli trasmette un notevole amore per la pittura di storia. Poco dopo si trasferisce a studiare presso lo studio di Louis Lamothe che era stato brillante alunno di Flandrin. E proprio dal binomio costituito da Lamothe e da Flandrin gli deriverà quell’amore per Ingres e per il disegno che lo accompagnerà per tutta la vita. Più tardi passa all’École des Beaux-Arts, dove ha modo di conoscere i giovani Tourny, Bonnat, Delaunay, Ricard e Legros, molti dei quali ritroverà in Italia.

All’Esposizione universale del 1855 “vede” solo le opere di Ingres. Sarà suo padre a spingerlo con calore ed energia a risalire alle fonti, verso la pittura italiana del XV e XVI secolo, con l’aiuto di Grégoire Soutzo, che era un importante divulgatore di stampe antiche. Tramite quest’ultimo Degas inizia lo studio delle tecniche di incisione, soprattutto di quelle olandesi e fiamminghe. Ben presto però decide di continuare gli studi da solo, a tu per tu con gli immensi depositi culturali del passato. Si trasferisce in Italia dal 1856 al 1859, ripercorrendo fra Roma, Napoli e Firenze un personalissimo “grand tour”, anche se ormai l’Italia, agli occhi dei francesi, non è più quella che vedevano gli artisti del Settecento. Ma certamente l’Italia, per quanto riguarda il passato, rimane un importante referente, in particolare per Degas che amava la convivenza di opere di diversi secoli. In fondo questo viaggio sentimentale che riunisce il giovane artista alla propria famiglia, in parte residente a Napoli, in parte a Firenze, serve a inquadrare una precisa concezione del “museo ideale”. L’effetto Italia dunque è estremamente positivo, anche se diverso da quello prodotto sul giovane Moreau, che approdò a Roma alla fine del 1857.

A Roma Degas frequenta l’Accademia di Francia dove incontra Levy, Delaunay, Chapu, Bonnat, Henner e lo stesso Moreau. Ma ha anche rapporti con il giovane Amos Cassioli, alunno di Luigi Mussini, che era allora il direttore dell’Accademia di belle arti a Siena. Inoltre Mussini, rigorosissimo “maestro”, era il capo del purismo in Toscana, e dunque dimostrava fortissime simpatie verso il Trecento e il Quattrocento; di conseguenza amava la forma più dei contenuti, secondo le direttive di Ingres che poco prima gli erano servite, durante il soggiorno a Parigi, a riscaldare il suo purismo nazareno e a svolgerlo in tonalità più calde e più cinquecentiste, grazie ai positivi influssi di Ingres e di Flandrin. Tutto ciò avveniva poco prima dell’arrivo di Degas in Italia e si era visto nell’Eudoro e Cimodoce nel 1855. L’influsso di Degas su Cassioli, che nel 1857 ritrae l’amico in un disegno, è piuttosto forte, tanto che Mussini richiama all’ordine il giovane alunno e lo invita a non cedere a “pose troppo disinvolte”, dovute comunque anche a un “ingrisme” comune. Da parte sua Degas, in Italia, perfeziona quel neocinquecentismo che aveva già assorbito a Parigi, e che è ben chiaro, già nel 1855, nel Ritratto di René de Gas col calamaio, una perfetta sintesi di un riciclaggio del Bronzino e dell’arte olandese del Seicento. I referenti culturali dell’artista francese non si fermano però al Cinquecento e al Seicento, ma slittano indietro, agli etruschi, ai fregi del Partenone, fino a correre, più tardi, al Mantegna della Crocifissione del Louvre, colta con un venetismo alla Bellini, che va a riscaldare la pietrosa durezza di Mantegna.

Degas è onnivoro delle opere d’arte del passato che sfilano, lungo tutto il suo viaggio da Roma a Firenze (1858), nelle belle pagine del suo diario. L’artista ammira Sebastiano del Piombo, «il contrasto fra il movimento e l’amore dell’irrequieto Luca Signorelli e la serenità di Beato Angelico». «La cattedrale [di Perugia]», ci racconta, «all’interno, è restaurata nel modo più ignobile che io abbia mai visto; irriconoscibile! ». «La Deposizione di [Giulio] Romano [...] è quanto di meglio abbia visto di costui; un talento immenso, ma niente che tocchi». Degas in realtà sente molto di più il fascino delle opere del Perugino, di Dosso Dossi e del Beato Angelico. È soprattutto Assisi, bellissima, ad attirarlo «come un’amante». «Giotto è capace di espressione e pathos in modo sconvolgente. Mi trovo di fronte a un genio». Il viaggio continua e vediamo passare Arezzo e infine Firenze, dove Degas si annoia molto «a stare tutto solo». Frequenta il Caffè Michelangelo e ha senz’altro numerosi rapporti con gli artisti toscani, anche se attende con impazienza di rivedere Moreau. Quest’ultimo, di otto anni più anziano, ha avuto un grande peso nel periodo italiano di Degas. Ha cercato infatti di comunicargli un maggiore amore nei confronti del colore, come si vede bene nel Dante e Virgilio e in vari lavori. Ma la sensibilizzazione alla linea Géricault-Delacroix durerà poco, tanto che Degas non molto tempo dopo esclamerà: «Géricault, che grande artista mancato!».


Autoritratto (1855); Parigi, Musée d’Orsay Già dal 1853 Degas realizza una serie di ritratti prendendo come modelli familiari, amici e se stesso. Questo Autoritratto, dove l’artista si raffigura con uno sguardo interrogativo, sembra essere stato ripreso direttamente da una fotografia.


Degas in una foto del 1855-1860 circa; Parigi, Bibliothèque Nationale de France

Ritratto di René de Gas col calamaio (1855); Northampton (Massachusetts), Smith College Museum of Art.