Tramite lunghi studi, l’artista riesce a conciliare in modo originale e spontaneo l’immenso bagaglio museale che si era portato dietro e inventa una pittura di storia all’interno della quale si integrano in modo perfetto i vari referenti. Si tratta di una specie di sfida alla pittura antica, che viene “citata”, ma anche immediatamente superata dalla novità dell’insieme. Le storie lontane e vicine rimangono solo nei titoli, mentre all’interno delle singole opere viene brillantemente eliminato ciò che risulterebbe troppo esplicativo.
Su questa linea nasce nel 1859 La figlia di Jefte, che è il più grande quadro di questo periodo. Degas si confronta con un tema biblico, che aveva già ispirato Buron, Chateaubriand e Vigny. Quale la storia? Jefte, in cambio della salvezza degli ebrei, aveva promesso di sacrificare la figlia. Il tema è tipicamente romantico, anche se lo stile rimane lontano da un eccessivo rapporto col passato, nonostante le citazioni di Sodoma, di Cesare da Sesto e di Mantegna. Inoltre la dinamicità scorrente ricorda il “nervosismo” di Luca Signorelli, risolto in un contesto che deve molto a Veronese, a Poussin, ma soprattutto a Delacroix. Degas infatti in quest’opera, come nel Dante e Virgilio, sembra essere in balia di quella “malattia del colore” contratta da Moreau e, indirettamente, dal suo maestro. Il 4 gennaio del 1859, il padre gli aveva scritto: «Tu sai ch’io sono poco propenso a condividere il tuo parere su Delacroix, questo pittore si è abbandonato alla foga delle sue idee e ha trascurato, disgraziatamente per lui, l’arte del disegno, l’Arca santa da cui tutto dipende; egli», conclude, «si è completamente perduto».
Poco dopo Degas si “riequilibra” nella Semiramide che costruisce Babilonia (1860-1862), bloccando gli ardori precedenti in una composizione orizzontale, molto più consona a favorire un rapporto paratattico, calmo, lento e tranquillo. Per un attimo sembrano ricomparire i ritmi di Piero della Francesca, anche se la città di Babilonia è data in modo fantomatico, vibrante e leggero. Manca la forte plasticità del gruppo umano, a destra, che è fermo, austero e ieratico. In tale modo Degas blocca e semplifica gli eventuali ricordi derivanti dalla rappresentazione della Semiramide di Rossini, rappresentata all’Opéra proprio nel 1860.
Il ritmo compositivo orizzontale ritorna sia nella Famiglia Bellelli sia nelle Giovani spartane. Nel primo lavoro si succedono tre blocchi di figure umane, mentre nel secondo troviamo solo due gruppi. Il terzo infatti è spostato indietro, al centro, e si integra in modo impercettibile nella natura solare. Degas ora si sposta all’esterno e sembra rubare da antichi fregi o dalla pittura quattrocentesca e neoclassica un ritmo particolare, secondo il quale le storie scorrono in strisce di pittura. Tutto rimane sospeso, come allora, ma viene completamente rinnovato. Così il braccio teso della fanciulla è simile a quelli ricorrenti nella pittura neoclassica che sentiva un forte bisogno morale di indicare un’azione importante. È ribaltato però in un’azione “vera” e vitale di un corpo non più vestito ma nudo.
Degas inventa una gioventù “riscaldata” e scattante, tanto da fare dimenticare in parte le differenze di sesso, giocando sull’androginia delle donne e, viceversa, sull’effeminatezza dei ragazzi. Lo stile sintetico adottato serve a bilanciare i due gruppi in primo piano sullo sfondo, che non contrasta con il colore dei corpi, ma anzi lo sottolinea con calde dorature.
Degas riesce a darci un dipinto senza tempo e perciò elimina volutamente tutti i referenti storici, che rimangono, anche in questo caso, solamente nel titolo. Quel che conta è una esercitazione sui giovani, dopo tanti dipinti rivolti a cogliere l’età umana della piena maturità.