Il mondo di allora attira Degas come una calamita, tanto che ben presto vediamo l’artista spostarsi verso soggetti e persone presi di peso dalla quotidianità. L’esplorazione della vita parigina si rivolge a vari aspetti pubblici e privati, dalle corse dei cavalli, alle scene dei balletti e delle orchestre, alle cantanti di cabaret fino alle stiratrici e alle donne intente alla toilette.
Uomini e donne si alternano nelle tele dell’artista e animano le sue tematiche predilette. Queste ultime ritornano spesso come in una sequenza cinematografica, che facilita la ripetizione di uno stesso soggetto. Le stesse figure sono spesso riprese in fasi più o meno consecutive ai loro movimenti e sono bloccate in varie pose, a differenza di ciò che accade nelle opere di Boldini. Anche l’artista italiano è attirato da temi dinamici e movimentati, ma preferisce, a differenza di Degas, fare scorrere i propri personaggi lungo scie virtuali che diventano le ipotetiche protesi dei loro gesti. In comune i due artisti manterranno sempre una predilezione per i soggetti ripresi dentro gli ambienti, rigorosamente lontani dalle luci naturali.
Degas, da parte sua, schiaccerà spesso ciò che vede, guardando a picco la realtà, “abbassandola” e correggendola, secondo il preciso proposito di manipolare le pose e la composizione generale dei dipinti. Questi ultimi infatti sono “tagliati” in modo nuovo, in parte coincidente con i “tagli fotografici”, che danno la possibilità di interessanti variazioni e spostamenti. Ecco che un vaso di fiori si ingigantisce e si dilata lungo la superficie bidimensionale della tela scoppiando in una miriade di impalpabili petali nella Donna con crisantemi del 1865; oppure si “gelidifica” in primo piano grazie a foglie tentacolari, durissime, verdi, scure e quasi minacciose nella Donna con vaso orientale del 1872.
I vasi di fiori diventano i protagonisti dei due dipinti ed esiliano le donne in posizioni secondarie. Le belle signore guardano fuori del quadro, non direttamente verso di noi, ma di lato, nel tentativo di allargare lo spazio virtuale del dipinto in direzione orizzontale. Sembra, per un attimo, che vogliano riconquistare quella centralità che l’autore ha loro negato, confinandole coraggiosamente ai lati o dietro, in secondo piano. Degas infatti in questi due lavori mostra di preferire la natura morta e non esita a invertire i termini, come accadrà più tardi nella Cantante del caffè concerto (1878). In questo caso non si tratterà più di vasi di fiori, ma di un guanto nero, bellissimo, che sbarra la visione fino a diventare una specie di inserto pop su un fondo a strisce.
I ritratti, costituiti inizialmente dall’immagine di un solo personaggio, a poco a poco si animano e si arricchiscono di varie figure, dove gli spazi, visti spesso di scorcio, fungono da “campi di sospensione”. Le figure, come nel Ritratto di Joséphine Gaujelin (1867), continuano per un periodo a essere monumentali e scultoree, ancora costruite secondo un impianto imponente. Ma presto i vari dipinti sono alleggeriti dai bellissimi elementi decorativi delle stoffe, delle tappezzerie e delle carte dei muri.
Questo elegante e vivace gusto decorativo serve a mettere in evidenza masse di neri e di bianchi nella dolcissima visione della piccola Hortense Valpinçon. Degas ruba questo gusto al mondo giapponese, di cui ha sempre amato gli elementi decorativi, in quanto ottimi mezzi per prendere le distanze da tutto ciò che risulta troppo naturalista, autorizzando una pausa di riflessione, un rallentamento mentale. Così ci perdiamo spesso fra i ghirigori decorativi, tenuti sotto un rigido controllo e ci sembra di essere dentro a un vivace labirinto del quale l’autore possiede saldamente i fili.
L’arte giapponese era allora di gran moda e si poteva ammirare nel negozio di Madame Desoye, La Porte Chinoise, che si era inaugurato nel 1862. Le stampe giapponesi poi si erano viste sia all’Esposizione di Londra del 1862, sia a quella di Parigi del 1867.
Da questa cultura, diversa da quella del mondo occidentale, Degas trae una particolare capacità di appiattimento, giocando abilmente su punti di vista ribassati e inaugura l’uso di una progressione cinematografica. Uno stesso soggetto viene a tal fine ripetuto varie volte, ripreso in diversi atteggiamenti, che attestano le fasi più o meno consecutive ai movimenti.