il Secondo Soggiorno
a roma e i capolavori
degli anni trenta

A questo punto della carriera di Donatello si colloca un secondo viaggio a Roma dell’artista, sicuramente documentato (1432-1433) e non meno essenziale del primo alla sua ispirazione, in un rinnovato rapporto diretto con l’arte antica: che ora non è più solo quella dell’età repubblicana e imperiale, ma anche e forse soprattutto quella moralmente “corrotta”, piena di “pathos“ e di sensualità, del tardo ellenismo.

Oltre alla Lastra tombale del cardinal Crivelli, in Santa Maria in Aracoeli, l’opera più importante che Donatello vi esegue, per commissione papale, è un Tabernacolo marmoreo in San Pietro, posto oggi nella Sagrestia dei beneficiati: concepito come una complessa architettura, densa di motivi ornamentali all’antica e popolato di angeli. L’insieme, a più ordini sovrapposti e di notevole sviluppo verticale, non appare del tutto armonico per via di un rimontaggio non corretto e per la perdita o la sostituzione di parti strutturali, nel trasferimento cinquecentesco dell’opera dall’antica basilica vaticana – dove si trovava in origine – alla collocazione attuale: ma sul fronte superiore, il delicatissimo bassorilievo raffigurante la Deposizione di Cristo nel sepolcro rappresenta un passo ulteriore dell’artista verso l’espressionismo drammatico che caratterizzerà le sue opere tarde.

Tornato a Firenze nel 1433, Donatello riversa tutte le recenti e multiformi suggestioni romane nelle opere importanti che gli vengono subito commissionate: a cominciare dal Pulpito esterno del duomo di Prato, col suo Capitello bronzeo di sostegno (1433-1438, ancora in collaborazione con Michelozzo) e dalla Cantoria nella tribuna della cattedrale di Firenze, finita nel 1439, posta a diretto confronto con quella gemella, affidata a Luca della Robbia.

Nel Pulpito pratese come nella Cantoria, Donatello immagina girotondi di putti festanti – “spiritelli” alati dell’età ellenistica, più che angeli cristiani – su fondi baluginanti di mosaici alla cosmatesca: l’artista vi esprime l’essenza stessa della vitalità attraverso quel movimento perpetuo, incalzante e veloce; la libertà innocente e senza remore, traboccante d’energia, che è propria dell’età infantile, ma alla quale furono d’ispirazione sarcofaghi romani di soggetto dionisiaco. È ben noto il giudizio vasariano sulla straordinaria intuizione di Donatello di lasciar scabre le superfici delle sculture della Cantoria, che nella distanza e nelle condizioni di luce ne guadagnarono in efficacia e leggibilità, rispetto alle levigate forme dei fanciulli cantori di Luca: a Donatello, dunque, andava riconosciuta la scoperta di quel “non-finito”, che sarà poi parte essenziale della poetica michelangiolesca.

Una diversa, più elegiaca espressione di classicità, mutuata da esempi antichi specie nel nobile impianto architettonico, riccamente decorato, e nella grazia ellenistica delle due figure, è l’Annunciazione ad altorilievo, in pietra serena, già sull’altare della cappella Cavalcanti in Santa Croce. Quest’opera, che il Vasari erroneamente colloca nella prima giovinezza di Donatello, fu invece certamente scolpita poco dopo il suo ritorno da Roma, intorno al 1435: ma è comunque vera l’affermazione dello storico aretino a proposito dell’ammirazione che suscitò nei contemporanei, anche per la novità della rappresentazione in altorilievo, che conferiva alle due figure l’aspetto di personaggi sul palcoscenico d’una sacra rappresentazione. Rammentano lo spirito e le forme della Cantoria, pressoché coeva, le coppie di vivaci “spiritelli” in terracotta, posti in equilibrio precario sul coronamento del timpano.


Tabernacolo del Sacramento (1432-1433); Città del Vaticano, San Pietro, Sagrestia dei beneficiati.

Cantoria (1433 circa - 1439), particolare; Firenze, Museo dell’Opera del duomo.