«Scultore rariSSimo
e Statuario
maraviglioSo»
(g. vasari)

«Fu in Fiorenza ad tempo de’ nostri padri, Donatello, homo raro, e simplicissimo in ogni altra cosa, excepto ch’in la scolptura: in la quale, ad iudicio dei molti, ancora non have avuto superiore».

Così scriveva all’amico Marcantonio Michiel l’umanista napoletano Pietro Summonte nel marzo del 1524, quando già brillava ovunque la stella di Michelangelo. Ed è una sfida per il primato che poco più tardi il Vasari cercherà di comporre in una diretta discendenza artistica fra i due sommi interpreti della scultura rinascimentale, con la celebre sentenza suggeritagli da Vincenzio Borghini: «O lo spirito di Donato opera nel Buonarroto, o quello del Buonarroto anticipò di operare in Donato». Se non che, in Donatello, la scultura «non si concentra sull’“idea” sublimata come in Michelangelo; si estende invece a prender possesso della storia intera, della natura intera, di ogni energia di vita», pronta «a sfide anche espressionistiche e di incompiuto» (Berti, 1986). Immensa la sua produzione nel corso di una vita assai lunga, spesa tutta in un’attività frenetica che si svolge per oltre sessant’anni a Firenze e in varie altre città d’Italia, al Nord (soprattutto a Padova) come al Sud (soprattutto a Roma): «solamente di costui», notava il Gaurico nel 1504 «ci restano più opere nell’insieme a noi pervenuto, che non quelle di tutti gli altri scultori» e numerose scoperte, anche recenti, continuano a incrementarne il catalogo. Proprio come nel caso di Michelangelo, la sua influenza fu determinante sugli artisti di più generazioni, non soltanto nel campo della scultura: tra i pittori, il primo a seguirne le orme fu Masaccio, di quindici anni più giovane, che esordì quando Donato aveva già eseguito alcuni dei suoi capolavori e che a essi guardò per dare alle sue figure la monumentalità e la forza espressiva che inaugurano con lui, anche in pittura, la nuova lingua figurativa del Rinascimento.

A distanza di circa un secolo dalla morte di Donatello, il Vasari raccolse molta dell’aneddotica sulle vicende e sul carattere dello scultore, confermata anche da altre fonti: «Donato era liberalissimo, amorevole e cortese, e per gli amici migliore che per sé medesimo». «Simplicissimo» appunto, come lo dice il Summonte, nel modo di vivere; disinteressato al denaro e al prestigio sociale cui già gli artisti del suo tempo aspiravano; generoso fino a condividere coi suoi aiuti, liberamente, ogni entrata della bottega; ma intransigente e suscettibile riguardo ai fatti d’arte e consapevole del pregio delle sue opere: disposto prima a distruggerle che a farne mercato. E poi, pronto e arguto nei motti, senza alcuna soggezione nei confronti dei potenti: innumerevoli le opere anche di grande prestigio e di committenza principesca non portate a termine o addirittura neppure iniziate, a riprova del suo temperamento libero e inquieto, ma anche della fama che s’era conquistato. Dai carteggi degli umanisti contemporanei, come Poggio Bracciolini, sappiamo d’altronde quanto il suo parere – per esempio, nel giudizio su opere antiche – fosse ben presto considerato autorevole: una competenza guadagnata “sul campo”, grazie a un’acutissima e innata sensibilità estetica, da uomo «senza lettere», come Leonardo dirà poi di sé, tanto da far concludere al Vasari che egli «fu tale e tanto mirabile in ogni azione, ch’e’ si può dire che in pratica, in giudizio et in sapere sia stato de’ primi ad illustrare l’arte della scultura e del buon disegno ne’ moderni».

Gli esordi di Donatello – il diminutivo con cui fu noto fin da ragazzo e con cui si firmò in alcune delle sue opere – restano oscuri: a cominciare dalla nascita, che quasi certamente avvenne a Firenze nel 1386, ma che non è documentata. Le sole notizie che l’artista ci dà delle sue origini, nelle dichiarazioni presentate agli ufficiali del catasto fiorentino nel 1427, sono che suo padre, Niccolò di Betto Bardi, era un povero cardatore di lana e che sua madre si chiamava Orsa. Sappiamo però da altre fonti che Niccolò in gioventù aveva avuto passioni politiche accese, aveva partecipato al Tumulto dei ciompi nel 1378 e, per questo, era stato bandito dalla città: Donatello, invece, non parve mai interessato alla politica né alle passioni di parte, e anzi fu se mai legato d’amicizia e di gratitudine proprio a quei “signori” della finanza e della mercatura, contro i quali il ceto popolare dei ciompi s’era a suo tempo ribellato. Il Vasari, che resta la fonte principale per la biografia dello scultore (ancorché non sempre attendibile, specie riguardo alla cronologia delle opere), nella prima redazione delle Vite (1550) lo dice protetto già nell’adolescenza dalla famiglia Martelli, che ne avrebbe intuito il genio: una notizia in parte ridimensionata nella seconda redazione (1568) per mettere in luce lo speciale rapporto che legò l’artista fin dagli esordi ai Medici e in particolare a Cosimo il Vecchio.


David (1408); Firenze, Museo nazionale del Bargello. Nella statua del giovane profeta, eroe-simbolo della Repubblica fiorentina, che Donatello eseguì poco più che ventenne, si rivela il suo apprendistato col Ghiberti nell’eleganza della posa e nella grazia delicata dei tratti del volto: ma il divaricarsi perentorio delle gambe, col panneggio che si squarcia sul davanti a scoprire la gamba sinistra potentemente modellata, già mostra il superamento del Gotico verso nuove forme espressive, ispirate alla statuaria romana e alla sua virtus civica. Per questo la statua, destinata in origine alla cattedrale di Santa Maria del Fiore, fu collocata nel 1416 in Palazzo vecchio.

Veduta della chiesa di Orsanmichele a Firenze. Assieme alla cattedrale di Santa Maria del Fiore e al suo Campanile, Orsamnmichele – la chiesa delle Arti fiorentine – fu il principale cantiere in cui si sperimentarono, nel primo trentennio del Quattrocento, le nuove forme della scultura monumentale. Nelle sue nicchie esterne trovarono posto le grandi figure dei santi-eroi, protettori delle diverse corporazioni, affidate agli scultori più accreditati della vecchia e della nuova generazione (come Lorenzo Ghiberti), ma anche a talenti in ascesa (come Donatello e Nanni di Banco), fondatori e interpreti degli ideali estetici e civili del Rinascimento, che, attraverso di loro, immediatamente s’impose anche nella pittura.