gli ultimi anni

Il San Giovannino fu una delle ultime opere in marmo eseguite da Donatello, alla vigilia della partenza per Padova, dove risulta ormai installato con le sue maestranze nel gennaio del 1444 e dove si tratterrà per quasi un decennio, impegnato in opere assai importanti: il Monumento equestre del Gattamelata, commissionatogli direttamente dalla Serenissima a un anno esatto dalla morte di Erasmo da Narni, capitano generale della Repubblica veneziana.

E l’opera complessa e magnifica dell’Altare del Santo, nella basilica antoniana, che comincia nel 1444 col grande Crocifisso di bronzo e comprenderà poi altre ventinove sculture, eseguite tra il 1447 e il 1450: sette statue bronzee a tutto tondo (la Madonna in trono col Bambino, affiancata dai tre santi francescani Francesco, Antonio, Ludovico di Tolosa; e da tre santi venerati a Padova, Giustina, Daniele e Prosdocimo); quattro grandi bassorilievi in bronzo ageminato d’oro, raffiguranti i Miracoli di sant’Antonio, entro grandiosi e quasi onirici fondali prospettici; altri bassorilievi minori con il Cristo in pietà, gli Evangelisti e Angeli musicanti; e ancora, rilievi in pietra di Nanto: oltre a due frammenti raffiguranti i Dottori della Chiesa, la grande Deposizione di Cristo nel sepolcro, posta sul retro dell’altare e indimenticabile per la sua violenza drammatica.

Donatello, affiancato da numerose maestranze, anche locali, si dedicò in parallelo all’esecuzione delle due opere: il monumento fu eretto sulla piazza antistante la basilica nel 1453, alla vigilia del suo rientro a Firenze, e sul basamento, alto quasi otto metri, si legge il suo nome («OPVS DONATELLI FLO.»).

Pur avendo a modello la statua equestre del Marco Aurelio – tante volte ammirato a Roma e che allora si riteneva raffigurasse Costantino – il Gattamelata di Donatello non è una fedele imitazione dell’antico: l’artista infatti variò le proporzioni del cavallo al passo, accrescendogli volumi e possanza; rese intensa la caratterizzazione del vecchio condottiero, dall’espressione concentrata e severa; mise finimenti moderni alla cavalcatura e caricò di dettagli di fantasia la sella, animata da “spiritelli” giocosi, e l’armatura, con la testa di Gorgone urlante sul pettorale, la lunga spada, i lunghissimi speroni. Il Gattamelata, con cui risorgeva in forma moderna il genere più illustre della scultura classica, fu subito famosissimo e divenne il prototipo di tutti i monumenti equestri fino alla fine del Rinascimento, «perché», come scrisse il Vasari, «non solo fece stupire allora que’ che lo videro, ma ogni persona che al presente lo vede».

L’Altare donatelliano, inaugurato solennemente il 13 giugno 1450 – giorno della festa del santo – fu smontato e in parte disperso già alla fine del Cinquecento. È stato ricomposto nella forma attuale alla fine dell’Ottocento da Camillo Boito, ma molti altri studiosi hanno suggerito in seguito ipotesi diverse sulla sua composizione originaria, di cui tuttavia non ci restano testimonianze. Comunque sia, il cantiere di Donatello al Santo, in cui contemporaneamente si lavorava all’altare in basilica e al monumento equestre sulla piazza antistante, fu una grande scuola per tutti gli artisti del Nord Italia: non solo per gli scultori, molti dei quali chiamati a collaborare direttamente col maestro, come Niccolò Pizzolo o Bartolomeo Bellano; ma anche per giovani pittori, come il lombardo Vincenzo Foppa, il ferrarese Cosmè Tura, e soprattutto il mantovano Andrea Mantegna, nelle cui opere sono frequenti ed evidenti i rimandi e le suggestioni delle sculture padovane di Donatello, determinanti per la sua formazione. D’altronde, proprio durante il lungo soggiorno padovano, la fama dell’anziano maestro pare irraggiarsi in ogni direzione: i regnanti di tutta Italia – da Ferrara, a Mantova, a Napoli – se ne contendono le opere e gli offrono incessantemente commissioni prestigiose, che spesso il maestro accetta, ma non assolve. Per il re di Napoli, che gli commissiona un monumento equestre di bronzo da porre al culmine dell’arco di Castelnuovo, di proporzioni maggiori del Gattamelata, Donatello riuscirà a eseguire soltanto la gigantesca testa del cavallo, nota come Protome Carafa. Altre commissioni padovane, sfuggite alla storiografia, furono invece portate a termine: è recente (2010) – e dovuto al Caglioti – il riconoscimento di un Crocifisso ligneo, di alta qualità e probabilmente autografo, nella chiesa di San Francesco dei Servi; e a Padova, nell’ultimo tempo del suo soggiorno, Donatello dovette eseguire, forse giovandosi di un collaboratore “esotico”, il bassorilievo della Crocifissione – poi donato ai Martelli – dove sperimentò una complessa tecnica d’intarsio a lamine d’oro e d’argento, forse ispiratagli dai metalli veneto-saraceni che circolavano a Venezia.


Monumento equestre del Gattamelata (1446-1453); Padova, piazza del Santo.

Altare del santo (1443-1450); Padova, basilica di Sant'Antonio.

Deposizione di Cristo nel sepolcro (1447 circa - 1450), particolare dell’Altare del santo; Padova, basilica di Sant’Antonio.