I soggettI

La lezione del realismo trasmise agli impressionisti il gusto dell’ambientazione contemporanea e dell’osservazione diretta.

Con la differenza che l’iconografia realista, dominata da soggetti proletari, fu come “aggiornata” dall’ingresso di una nuova categoria sociale mai, prima di allora, così attentamente e appassionatamente documentata: la borghesia con i suoi usi e costumi. Le déjeuner sur l’herbe e Olympia, due notissime opere che Manet realizzò nel 1863, undici anni prima della mostra con la quale il gruppo impressionista si rese universalmente noto, annunciarono, accompagnate da grande clamore, le nuove tendenze. Quando nel 1863 Le déjeuner sur l’herbe venne presentato al cosiddetto Salon des Refusés, voluto da Napoleone III come spazio espositivo parallelo e alternativo al Salon con l’intento di porre un argine all’ondata di lamentele provocate dalle ingiuste e numerosissime esclusioni decretate dalla giuria dell’istituzione ufficiale, il quadro ebbe l’effetto di un vero e proprio cataclisma su pubblico e critica. A sconvolgere i presenti non fu tanto la novità della tecnica, non ancora impressionista, quanto il tipo di nudo che il dipinto presentava, un nudo che metteva in crisi il tradizionale approccio di tanta pittura precedente a un genere ben “collaudato” e documentato. Il pubblico dileggio, magistralmente restituito dalla vivace prosa di Zola nel romanzo L’Oeuvre pubblicato nel 1866, non fu, in realtà, che una delle forme in cui si espresse l’indignazione generale, testimoniata con ben altri accenti nelle critiche scandalizzate dell’epoca dalle quali il quadro fu giudicato indecente e assolutamente immorale. In generale, la critica non si mostrò ostile alla tecnica pittorica di Manet. Quello che non andò giù ai critici e che sollecitò la malizia del pubblico fu il “realismo” della scena e soprattutto del nudo, molto diverso da un nudo classicamente trasfigurato.

In effetti, anche se Manet aveva accennato ad Antonin Proust di volersi ispirare, per il suo quadro, alle «donne di Giorgione, quelle con i musicisti» (Il concerto campestre, conservato al Louvre), una volta posta mano all’opera dimenticò ogni altro modello, a parte un generico riferimento al modello veneziano e ad alcune stampe del celebre incisore bolognese Marcantonio Raimondi (1480-1534 circa) tratte dal Giudizio di Paride di Raffaello. Le déjeuner sur l’herbe (riprodotto a p. 7) raffigurava prosaicamente una donna senza vestiti, un nudo privo di quegli ornamenti che accompagnavano i nudi di cui era pieno il Salon ufficiale: nuvole trasparenti, l’arco e le frecce per Diana, gli amorini per Venere e gli attributi sapienziali per Minerva. Il nudo di Manet appariva attuale: gli abiti moderni ammucchiati per terra e lo sguardo rivolto agli spettatori facevano pensare non a una dea ma a una prostituta, parola che per molti era intercambiabile con quella di modella. Anche gli uomini del dipinto non avevano quegli elmi splendenti che identificavano gli dèi e gli eroi della Grecia e di Roma e che fecero assegnare il soprannome di “pompiers” a quegli artisti accademici che li dipingevano così assiduamente: tutti i personaggi del quadro rimandavano a persone reali e di quell’epoca. Lo stesso vale per Olympia che fu esposto al Salon del 1865 suscitando non minore scandalo. «Cosa rappresenta questa odalisca col ventre giallo, quest’orribile modella pescata chissà dove?», scrisse il critico dell’“Artiste”. Gli ovvi riferimenti del dipinto agli antichi maestri, alla Venere di Urbino di Tiziano o alla Maja desnuda di Goya, sembravano come annullati da un soggetto che appariva chiaramente una prostituta dall’espressione impudente.


Édouard Manet, Olympia, (1863), particolare; Parigi, Musée d’Orsay.

L’Olympia di Manet in una caricatura di Cham apparsa su “Le Charivari” nel maggio 1865.