La tecnica

Se l’approccio diretto al soggetto e la sua scelta furono influenzati dalla scuola realista, la tecnica degli impressionisti, almeno quella che caratterizza la “stagione dorata” del movimento, ovvero i dodici anni intercorsi tra la prima mostra impressionista del 1874 e l’ultima del 1886, fu debitrice della pittura realista soltanto nella sua fase iniziale.

Paradossalmente, fu anzi proprio l’impressionismo ad affrettare la fine del realismo, che pure dichiarava di ammirare, spingendolo inconsapevolmente alle sue estreme conseguenze e aprendo così la via all’arte moderna e al superamento del dato reale, in conformità a una piena espressione della soggettività. I risultati della ricerca scientifica ottocentesca nel campo della visione sconfessavano la comune percezione del reale, minando alla base i tradizionali concetti di materia e forma. Gli impressionisti cercarono di restituire sulla tela, ciò che l’occhio effettivamente coglie: solo delle macchie luminose dai colori diversi, a seconda della lunghezza d’onda che colpisce il nervo ottico. Le tele degli impressionisti non imitano più la natura: sono fatte, per così dire, di vibrazioni luminose e si basano su una nuova pennellata e una nuova tavolozza che rinuncia alla gamma adottata nella prima metà del secolo dai pittori romantici e da Delacroix.

La loro tavolozza è semplificata e si riduce, all’incirca, ai brillanti colori dello spettro solare che saranno usati puri, stesi a piccole pennellate, non mescolati ma giustapposti secondo le leggi ottiche dei colori complementari (il rosso lo è del verde; il giallo del violetto; il blu dell’arancio) applicate in maniera del tutto intuitiva ed empirica, senza il rigore scientifico che caratterizzerà il neoimpressionismo: è l’occhio di chi osserva a una distanza adeguata a compiere la sintesi.

Osservando la Gare Saint-Lazare (1877) di Monet nella versione conservata alla National Gallery, l’occhio nota una serie di neri nel tetto della stazione e nella locomotiva. Questi neri, però, sono fatti di uno scuro rosso porpora accostato a un blu intenso; nel tetto, il colore caldo domina a destra, il freddo a sinistra. Analogamente, un attento esame della Senna ad Asnières (1879) di Renoir mostra l’uso dei seguenti colori: biacca, blu, cobalto, giallo limone, giallo cromo, arancio cromo, vermiglio e rosso cremisi, applicati a singole pennellate, a volte sovrapposti a fresco, nei riflessi sull’acqua in primo piano, e a volte a secco, per creare l’effetto di nebbia sullo sfondo: i veri colori nascono nell’occhio di chi guarda.

Ciò a cui erano interessati gli impressionisti riguardava quanto avveniva nella retina, non quello che succedeva nella mente umana: la cosa importante era il processo percettivo, non quello concettuale; i quadri erano visti come espressione di luce e atmosfera e il soggetto aveva perso completamente il suo valore intrinseco: poteva essere visto semplicemente in termini di luce e ombra e le ombre apparivano dotate di colori propri che, da soli, potevano attribuire profondità e qualità tridimensionali agli oggetti; le molte sfaccettature della luce e del colore erano catturate da piccole pennellate rapide e vibranti, piuttosto che da piatte superfici di colore omogeneo e applicato in maniera uniforme.

Indispensabile complemento della tecnica impressionista era la pittura “en plein air”, l’esecuzione all’aperto, cioè, anziché in studio, col soggetto illuminato dalla luce del giorno invece che da quella artificiale. Uno dei più convinti assertori dell’“en plein air” fu Monet, che si fece addirittura costruire Auguste Renoir, Senna ad Asnières (1879); Londra, National Gallery. un battello-studio dove fu ritratto da Manet (Claude Monet e sua moglie sull’atelier galleggiante, 1874) e al quale lui stesso dedicò un dipinto (Il battello-studio a Argenteuil, 1874). La regola dell’esecuzione all’aperto non era tuttavia così rigida, e un quadro iniziato all’aperto spesso veniva completato in studio come fece, per esempio, proprio Monet per Donne in giardino, il primo quadro che l’artista realizzò “en plein air” tra il 1866 e il 1867.

Grazie all’influenza di Monet e a quella di Renoir e Berthe Morisot, a loro volta entusiasti della pittura “en plein air”, anche Manet si convertì a quel procedimento diventando, per così dire, un impressionista in piena regola. La nuova fase può essere colta in una serie di dipinti realizzati da Manet tra il 1874 e il 1880 e incentrati sul tema del giardino, come appunto La famiglia Monet in giardino, del 1874: i colori appaiono luminosi e semplicemente giustapposti, le forme semplificate e la luce più varia e diversa da quella delle opere precedenti.


Édouard Manet, Claude Monet e sua moglie sull’atelier galleggiante (1874), particolare; Monaco, Neue Pinakothek.

Frédéric Bazille, con Édouard Manet, L’atelier di Bazille (1870); Parigi, Musée d’Orsay.

Claude Monet, Donne in giardino (1866-1867); Parigi, Musée d’Orsay.