In questo breve soggiorno, munito di una scatola di acquerelli e di un quaderno per schizzi, Klee visita Tunisi, Saint-Germain, Hammamet e Kairouan.
Al momento di ordinare dopo la guerra gli appunti sparsi dei Diari, Klee individua nell’esperienza tunisina un momento privilegiato della propria ricerca artistica: «Interrompo il lavoro. Un senso di conforto penetra profondo in me, mi sento sicuro, non provo stanchezza. Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso dell’ora felice: io e il colore siamo tutt’uno: Sono pittore»(18).
In realtà, pur non volendo sottovalutare l’impatto che ebbe su Klee la scoperta della luce accecante del Mediterraneo, la folla multicolore dei souk, l’atmosfera favolistica delle notti arabe, sembra probabile che il pittore fosse, in qualche modo, già preparato – tramite le precedenti esperienze in Francia, gli incontri con Delaunay e con i futuristi – alla scoperta delle qualità costruttive del colore, quasi che questa scelta fosse già stata fatta a priori. Resta il problema di fondo, quello del rapporto tra mondo esterno e universo interiore. Diversamente da Kandinskij, ma anche da Delaunay per il quale il rapporto col reale è ormai molto mediato, per Klee la dialettica col naturale resta, a questa data, essenziale: «È naturale che di fronte a questa natura io sia incapace. Eppure so qualcosa di più di prima. Conosco la distanza tra la mia incapacità e la natura. È una questione interiore da risolversi nei prossimi anni»(19).
Punto di partenza di ogni acquarello tunisino è l’esperienza di un paesaggio, di un luogo, di un’atmosfera di luci e colori naturali, avvolgenti. Klee cerca di estrarre gli elementi essenziali da quelle sensazioni, di trasformare la spazialità dell’ambiente, delle case, dei panorami delle città nell’architettura autonoma del quadro. Traspone così le forme e i colori di un oggetto osservato dal vero nella bidimensionalità della superficie pittorica secondo un andamento a campiture cromatiche, per lo più di forma quadrangolare, che diviene caratteristico di molte opere degli anni Venti. Quando, tornato a Monaco, rielabora i motivi e gli schizzi dei suoi quaderni tunisini arriva a dei risultati che rivelano con più evidenza l’autonomia del quadro rispetto al modello: Motivo da Hammamet del 1914, senza avere la rigidità di una struttura geometrica, si presenta come una superficie articolata nella quale il motivo ispiratore è scomparso a favore della libera spazialità del dipinto. Allo stesso modo in Omaggio a Picasso – un ricordo dei quadri ovali del pittore spagnolo – e in Astratto, cerchi colorati legati da fasce di colore, il rapporto col reale non esiste più e l’opera d’arte diviene, ormai, sinonimo di creazione: «La creazione vive come genesi sotto la superficie visibile dell’opera. Volta al passato la vedono tutti gli intellettuali, volta all’avvenire soltanto chi sa creare»(20).
Durante la prima guerra mondiale Klee vive a Monaco in un profondo isolamento. Kandinskij ha abbandonato la Germania ed è tornato in Russia, Macke è morto al fronte nell’agosto del 1914, Marc, a cui Klee è particolarmente legato, cadrà a Verdun nel 1916. In quell’anno, nonostante l’età relativamente avanzata, Klee è chiamato sotto le armi, da dove verrà congedato nel Natale del 1918.