MAESTRO AL BAUHAUS «Caro Paul Klee all’unanimità vi preghiamo di accettare una cattedra al Bauhaus di Weimar». uesto telegramma, firmato da Gropius, Feininger, Engelmann, Marcks, Muche, Itten e Klemm, raggiunge Klee nell’ottobre del 1920 ad Ascona, dove soggiornava dai suoi amici Aleksej von Jawlensky e Marianne von Werefkin. Dal gennaio del 1921 all’aprile del 1931 Klee insegna, quindi, al Bauhaus, la scuola superiore d’arte fondata nel 1919 dall’architetto Walter Gropius con l’esplicito fine di annullare la separazione esistente tra belle arti e artigianato e di collegare l‘attività artistica con le nuove tecnologie della produzione industriale. Q Unitamente a ciò la scuola rappresenta il sogno, di origine romantica, dell’unificazione delle arti in un’opera d’arte architettonica e totale; l’ideale della cattedrale gotica, espressione del comune lavoro di ogni tipo di maestranza, è simbolicamente raffigurata nell’incisione di Lyonel Feininger che fa da copertina al manifesto-programma del Bauhaus del 1919: «Architetti, scultori, pittori – si legge nel manifesto di Walter Gropius – noi tutti dobbiamo tornare all’artigianato! Non esiste, infatti, un’“arte professionale”. Non c’è alcuna differenza sostanziale tra l’artista e l’artigiano. L’artista è un artigiano a un livello superiore [...]. Impegniamo insieme la nostra volontà, la nostra inventiva, la nostra creatività nella nuova attività edilizia del futuro, la quale sarà tutto in una nuova forma: architettura, scultura e pittura, e da milioni di mani d’artigiani s’innalzerà verso il cielo come un simbolo cristallino di una nuova fede che sta sorgendo». L’apprendimento di un mestiere manuale era parte integrante dei corsi e il legame con le pratiche artigianali era sottolineato anche dal fatto che gli insegnanti non si fregiavano del titolo accademico di professore ma usavano quello di “maestro”, quasi a sottolineare il rapporto di collaborazione con gli allievi. Nonostante l’architettura fosse considerata il «fine ultimo di tutta l’attività creatrice», il corpo docente era costituito in gran parte da pittori, molti dei quali provenienti – come Kandinskij, Feininger e lo stesso Klee – dalla cerchia del Cavaliere azzurro. Alla fine del 1924 la pressante opposizione degli ambienti accademici, sostenuta dai movimenti di estrema destra, costringe il Bauhaus a cercare un contesto meno reazionario nel quale operare. Nel 1925 l’istituto si trasferisce a Dessau in un edificio di acciaio cemento e vetro progettato da Gropius. Alla prima fase, caratterizzata dall’entusiasmo ancora romantico ed espressionista per l’unità delle arti e dell’artigianato, ne subentra, ora, un’altra nella quale viene posto con più urgenza il problema della partecipazione dell’artista alla produzione industriale. Nel 1933, dopo un successivo trasferimento a Berlino, la scuola è chiusa dai nazisti e definita dalla Gestapo «focolaio di bolscevismo intellettuale». Precedentemente ai suoi contatti con Gropius e il Bauhaus, Klee aveva espresso in una lettera a Kubin la necessità della creazione di una scuola d’arte per artigiani: «Non saremo più una stazione ideale di prova, dei nuovi inventori che però non sarebbero dei nuovi inventori ma solo simulacri (come gli universitari somigliano ai loro maestri e i figli ai padri) ma al contrario potremmo trasmettere i risultati della nostra attività inventiva al corpo sociale. Questa nuova arte potrebbe allora penetrare nell’artigianato e dare una grande fioritura. Perché non ci sarebbero più accademie ma scuole d’arte per artigiani. La repubblica dei Soviet ci ha dunque apportato qualche insegnamento». L’entrata di Klee al Bauhaus inaugura nella vita e nell’opera del pittore un periodo nuovo. L’attività pedagogica, infatti, esige lo sviluppo e la messa a punto di un sistema teorico e obbliga, allo stesso tempo, l’artista a prendere coscienza dei propri metodi di lavoro. Uscendo dai limiti dell’introversione – emblematicamente interrompe il diario nel 1918 – e articolando l’implicito e il non-detto non solo sul piano dell’opera d’arte ma anche in quello dell’elaborazione teorica, Klee perviene alla definizione di una teoria «che ha per l’arte moderna la stessa importanza e lo stesso significato che hanno, per l’arte del Rinascimento, gli scritti che compongono la teoria della pittura di Leonardo» . (24) Note G. C. Argan, prefazione a P. Klee, Teoria della forma, cit., p. XI. (24) manifesto per l’esposizione del Bauhaus di Weimar nel 1923; Berna, Zentrum Paul Klee. Klee nel suo atelier a Weimar nel 1923. Vasilij e Nina Kandinskij, Georg Mucke, Paul Klee e Walter Gropius (da sinistra) all’inaugurazione del Bauhaus a Dessau, ottobre 1926. Racconto alla Hoffmann (1921); New York, Metropolitan Museum of Art. La macchina cinguettante (1922); New York, MoMA - Museum of Modem Art. Nei suoi primi anni al Bauhaus, Paul Klee si concentra sulla didattica semplificando le composizioni ma insistendo sui valori espressivi e ritmicio del quadro, come in quest’opera sostenuta da una preziosa e delicata stesura cromatica. Accanto all’analisi degli elementi formali – punto, linea, superficie, colore e tonalità – e del loro dinamismo sul piano pittorico, ciò che resta al centro degli interessi di Klee e costituisce l’asse portante dell’intera concezione figurativa è l’idea che esista una profonda analogia tra la genesi del mondo, della natura, e la genesi di un’opera; l’arte deve, quindi, proporsi come visualizzazione di questa genesi, modello di creazione, e non essere un doppio della natura. Il rapporto tra natura, artista e opera è esaustivamente indagato nel testo di una conferenza che Klee tenne a Jena nel 1924: «Permettetemi di ricorrere ad un paragone, il paragone con l’albero. In questo mondo proteiforme, l’artista si è dato da fare e, ammettiamolo, in parte almeno, ci si è – alla chetichella – raccapezzato. È così bene orientato da poter imporre un ordine alla fuga delle parvenze e delle esperienze. Questo orientamento nelle cose della natura e della vita, questo complesso e ramificato assetto, mi sia permesso di paragonarlo alle radici di un albero. Di là affluiscono all’artista i succhi che ne penetrano la persona, l’occhio. L’artista si trova dunque nella condizione del tronco. Tormentato e commosso dalla possanza di quel fluire, egli trasmette nell’opera ciò che ha visto. E come la chioma dell’albero si dispiega in ogni senso nello spazio e nel tempo, così avviene con l’opera. Nessuno vorrà pretendere che l’albero la sua chioma la formi sul modello della radice: non v’è chi non si renda conto che non può esistere esatto rapporto speculare tra il sopra e il sotto. È chiaro che funzioni diverse devono, in diversi ambiti elementari, dar luogo a cose notevolmente diverse. [...] L’artista contempla le cose che la natura gli pone sott’occhio già formate, con occhio penetrante. E quanto più a fondo egli penetra, tanto più facilmente gli riesce di spostare il punto di vista dall’oggi all’ieri; tanto più gli s’imprime nella mente, al posto di un’immagine naturale definita, l’unica, essenziale immagine, quella della creazione come genesi». Non è possibile ricondurre gli scritti teorici e didattici di Klee a un unico modello interpretativo, a un’ideologia che possa darne un’univoca chiave di lettura. Riferimenti e riflessioni sulle contemporanee correnti di pensiero, dalla psicologia della forma alla teoria della visibilità, dalla psicoanalisi alla filosofia fenomenologica, traspaiono dall’analisi dei testi a testimonianza della molteplicità e ricchezza degli interessi dell’artista. Si può forse individuare un’accentuazione della componente costruttivista in sintonia col razionalismo tecnologico del Bauhaus nel periodo di Dessau, ma è la visione dell’opera come genesi formale – al di là del fatto che questa derivi da una legge naturale o matematica – a costituire, comunque, il fine ultimo della sua ricerca. «Il lavoro pedagogico di Klee – scrive nel dicembre 1931 Christof Hertel, un suo allievo al Bauhaus – si articolava nella dimostrazione della sua teoria della forma (secondo e terzo trimestre) e nell’analisi del quadro (classe di pittura). La teoria della forma di Klee, che si trova tuttora in una fase di sviluppo e che influisce sempre più sul suo lavoro creativo, è così varia e infinita come la vita stessa. Quasi come un mago egli trasformava per noi, con lo sguardo, con la parola, col gesto – facendo agire con la stessa intensità tutte e tre queste possibilità di espressione – l’irreale in reale, l’irrazionale in razionale. Cose che esistevano solo nel sentimento [...], divenivano graficamente determinabili. Imparavamo a vedere che la figurazione primaria della superficie non aveva nulla a che fare con la semplice riflessione, ma era il prodotto del sentire più profondo. Assistevamo alla genesi delle forme, una genesi che era al tempo stesso reale e fantastica in misura mai sperimentata prima. [...] Viaggiavamo con lui attraverso i millenni. Klee ci rese di nuovo partecipi di esperienze primigenie di cui non avevamo più che una conoscenza meccanica. [...] Egli ci indicò la grande sintesi che tutto comprende, l’organico come l’inorganico. Tutto: zoologia, biologia, chimica, fisica, astronomia, letteratura, tipografia, contribuiva a chiarirci come noi, col nostro essere e col nostro agire, siamo legati all’umanità e al ritmo cosmico. Klee ci parlava di valori espressivi, ci diceva che le cose devono avere forma e senso, che la funzione dell’immagine consiste nell’esprimere qualcosa». Luogo pescoso (1922). Natura morta con dadi (1923); Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza. Paesaggio con uccelli gialli (1923). Pesci magici (1925); Filadelfia, Philadelphia Museum of Art. Il tessuto vocale della cantante Rosa Silber (1922); New York, MoMA - Museum of Modem Art. Nella formazione e nell’opera di Klee la musica ha un ruolo fondamentale. Nel dipinto le lettere R e S sono le iniziali della cantante, il cui nome e cognome (Rosa Silver) alludono anche ai colori rosa e argento. Luogo colpito (1922); Berna, Zentrum Paul Klee. Felix Klee, figlio dell’artista, spiega che l’opera allude all’esperienza della guerra: la freccia nera rappresenta una minaccia esterna che va a colpire un agglomerato di cancelli fra cui si muove un uomo. Ma la composizione allude anche alle teorie della durata della percezione visiva formulate nell’ambito del Bauhaus. Avventura di una giovane donna (1922); Londra, Tate Gallery. Gli anni che l’artista trascorre tra Weimar e Dessau sono anni felici dal punto di vista creativo. Nasce in questo periodo la serie dei “quadrati magici”, dipinti archetipali nei quali reticoli e bande cromatiche sovrapposte suggeriscono una spazialità non più illusoriamente prospettica ma ugualmente evidente attraverso il movimento di colori e di forme. Queste opere, fondate unicamente sul ritmo e sul rapporto cromatico, sono strutturate secondo schemi matematici. «Tra le carte di Klee – racconta Will Grohmann, amico dell’artista e uno tra i suoi più importanti critici – ho trovato lo schema per uno di questi quadri. Numeri sono scritti nei vari quadrati a formare diverse serie aritmetiche, forse per dare all’artista una più chiara e complessiva dinamica dei rapporti formali. Se si sommano quei numeri lungo le orizzontali e le verticali, i risultati coincidono come nel noto quadrato magico». L’antica identità tra magia numerica e legge matematica ritrova vita e valore in questo nuovo sistema armonico che, tra l’altro, sembra assomigliare alle contemporanee polifonie di Schönberg cui probabilmente alludono anche i titoli di questa serie (per esempio ). A queste opere, prossime a un purismo geometrizzante, per quanto spesso interagenti con motivi organici come in (1923), se ne accostano altre che, per la molteplicità dei significati e gli indubbi legami col mondo dell’inconscio hanno ricevuto consensi e riconoscimenti dai maggiori poeti e teorici del surrealismo, da René Crevel a Paul Éluard. Nel 1925, tra l’altro, dopo aver esposto l’anno precedente a New York, Klee è presente a Parigi alla prima mostra collettiva di pittura surrealista. Armonia in azzurro e arancio, Armonia di colori astratta, Architettura Ventriloquo che chiama nella landa Durante un viaggio in Italia nel 1926 l’artista visita Ravenna e resta affascinato dalla sublimazione dello spazio in pura luminosità e dall’intensa vibrazione cromatica dei mosaici bizantini. Probabilmente i dipinti cosiddetti “divisionisti”, che Klee realizza all’inizio degli anni Trenta, sono da mettere in relazione alle suggestioni derivate da questa esperienza piuttosto che alle teorie neoimpressioniste di Seurat. La pennellata a puntini è per Klee un mezzo per ottenere una particolare trasparenza della struttura cromatica e non una tecnica per riprodurre fedelmente fenomeni ottici: linee, segmenti, figure, agiscono sulla superficie puntinata istituendo di nuovo la dialettica tra piano colorato e segno grafico. I dipinti a tratteggio o a linee sottili e parallele, attraverso i quali Klee ottiene diverse gradazioni tonali, insieme ai “merletti” – immagini filiformi e a volte speculari di giardini, città, castelli, architetture – e alla tecnica a spruzzo, adottata in numerose opere, completano le invenzioni dell’artista nel periodo di Bauhaus. A questa continua sperimentazione tecnica, Klee unisce l’attenta ricerca sulla percezione e sui comportamenti dell’occhio e della psiche. Vari viaggi tra il 1928 e il 1929 – in Egitto, a Carnac in Bretagna per vedere i graffiti preistorici, in Sicilia – sono per Klee altrettanti stimoli creativi che caratterizzano momenti diversi della sua opera. Contemporaneamente, però, l’esperienza didattica al Bauhaus volge al termine; il clima sempre più difficile e opprimente in cui si trova l’istituto, unitamente alle conflittualità interne, inducono l’artista a richiedere ufficialmente la rescissione del contratto. In occasione della partenza di Klee da Dessau l’amico Kandinskij scrive sulla rivista “Bauhaus”: «Preferirei svolgere l’incarico affidatomi dai colleghi del Bauhaus – redigere questo numero – per ragioni diametralmente opposte: il ritorno, non la partenza di Klee. La sua parola, la sua azione, il suo esempio personale, hanno contribuito largamente a sviluppare le doti interiori degli allievi. Quale modello di totale dedizione al proprio lavoro, noi tutti abbiamo da imparare da Klee. E indubbiamente abbiamo imparato». Nell’autunno del 1931 Klee diviene docente del corso di tecnica della pittura all’accademia di Düsseldorf, mantenendo questo incarico fino al 1933 quando, accusato dai nazisti di essere ebreo e straniero, abbandona definitivamente la Germania per trasferirsi a Berna. Ventriloquo che chiama nella landa (1923); New York, Metropolitan Museum of Art. Ad Parnassum (1932); Berna, Kunstmuseum Bern. Nei quadri definiti “divisionisti”, Klee rivela la profonda suggestione dei mosaici di Ravenna, dove si recò nel 1926. Maschera di terrore (1932); New York, MoMA - Museum of Modem Art. Canto arabo (1932); Washington, Phillips Collection. Strada principale e strade secondarie (1929); Colonia, Museum Ludwig. Uno dei più noti capolavori di Klee, quasi al termine dell’esperienza didattica al Bauhaus.