Se ciò può ben rientrare negli schemi dell’aneddotica ai quali Leonardo stesso ricorre quando cita l’esempio di Giotto che «cominciò a disegnare sopra i sassi li atti delle capre delle quali lui era guardatore», è anche vero che Leonardo trascorre la sua adolescenza nel natio borgo di Vinci, lontano da centri come Firenze e Pistoia e quindi lontano non solo dalle grandi affermazioni artistiche del passato, ma anche dal fervore delle operose botteghe del presente, dove ai giovani apprendisti è offerta l’opportunità migliore per avviarsi alla professione di pittore o scultore, attraverso la pratica quotidiana che il maestro impone loro. Stando ai documenti, nel 1469, a diciassette anni, Leonardo abita ancora in famiglia, a Vinci. Tre anni più tardi, a vent’anni, fa già parte della Compagnia dei pittori a Firenze, il che gli consente di ricevere commissioni senza il tramite di un maestro di bottega: prova quindi indiretta che il suo tirocinio presso Andrea del Verrocchio è ormai concluso.
Il fatto che al tempo di un processo per sodomia, subito da Leonardo nel 1476 e dal quale esce assolto, il pittore risulti ancora presso il suo maestro – «Sta con Andrea de Verrochio», afferma il documento – potrebbe intendersi anche nel senso di una convivenza, piuttosto che di una condizione di apprendistato.
In base a un altro documento, risulterebbe che nel 1478 Leonardo mettesse su bottega per conto proprio, aggregandosi forse solo un paio di assistenti. In quel tempo infatti comincia a ricevere come Studio di figure per l’Adorazione dei magi (1481 circa); Londra, British Museum. missioni pubbliche come la pala d’altare per la cappella di San Bernardo in Palazzo vecchio, nota solo attraverso un documento appunto del 1478 e alla quale potrebbe riferirsi una serie di studi per un’Adorazione dei pastori.
Si tratterebbe di una Natività nella tradizione di quelle di fra Filippo Lippi, dalla quale Leonardo sarebbe poi pervenuto alla concezione della grandiosa Adorazione dei magi, lasciata allo stato di abbozzo al momento di trasferirsi a Milano nel 1482.
In questa tavola, la pittura prende gradualmente corpo dal disegno; secondo un procedimento nuovo, quindi, ripreso più tardi dai veneti, che consiste nell’eseguire la composizione direttamente sulla superficie da dipingere, senza l’ausilio di un cartone ma sviluppando un’idea saggiata in alcuni disegni preliminari di formato relativamente piccolo. Figure dunque abbozzate, non tanto come quelle delle sinopie, ma proprio come disegni portati a scala naturale insieme ai quali proiettare perfino un’immagine della propria presenza fisica, come nel caso della figura in piedi, lo sguardo rivolto all’esterno, posta all’estrema destra del quadro, e nella quale una convincente ipotesi ha voluto individuare l’autoritratto del giovane pittore.
Leonardo parte dunque con l’idea del disegno come pittura e della pittura come disegno. Ed è per questo che in tutti i suoi dipinti autentici che seguiranno nel tempo e che saranno portati a un notevole grado di compiutezza (non si può certo parlare di “non finito” nel caso della Dama dell’ermellino o della stessa Gioconda), le figure rivelano sempre una impeccabile impostazione di disegno. E poiché il disegno è l’espressione più diretta del moto fisico e mentale, le figure di Leonardo sono dotate di una vivacità e vitalità senza precedenti. E vede bene il Vasari quando nel proemio alla terza parte delle Vite individua in Leonardo l’artefice della fase conclusiva nello sviluppo dell’arte italiana dal tempo del rinnovamento iniziato con Giotto e portato avanti da Masaccio: «Leonardo da Vinci, il quale dando principio a quella terza maniera che noi vogliamo chiamare la moderna, oltra la gagliardezza e bravezza del disegno, ed oltra il contraffare sottilissimamente tutte le minuzie della natura, così a punto come elle sono, con buona regola, miglior ordine, retta misura, disegno perfetto, e grazia divina, abbondantissimo di copie, e profondissimo di arte, dette veramente alle sue figure il moto e il fiato». Più che della pittura, qui Vasari sembra parlare proprio del disegno di Leonardo. E c’è da credere che l’origine del talento di Leonardo disegnatore risalga a un periodo precedente l’apprendistato presso il Verrocchio, un periodo del quale non è rimasta alcuna traccia, nemmeno indizi di carattere documentario. Considerando la precocità di altri contemporanei (si pensi a Mantegna che all’età di diciassette anni era già impegnato con la decorazione della cappella Ovetari a Padova), vien da chiedersi in che modo e dove Leonardo avesse impiegato gli anni dell’adolescenza prima di entrare nella bottega del Verrocchio. Che da bambino fosse posto a una scuola d’abbaco, come s’usava allora per avviare i giovani alla mercatura, ce lo dice il Vasari che spiega pure come Leonardo, passando dalla matematica alla musica, trovasse la sua vera vocazione – la pittura – attraverso il disegno.