LA SCUOLA
DI PIAGENTINA

Malgrado la sua amicizia con Diego Martelli, catalizzatore di interessi e ricerche nelle stagioni di Castiglioncello, Silvestro Lega si recò una sola volta presso la tenuta dello scrittore, senza lasciare traccia di opere lì eseguite.

La sua natura particolare, il carattere “bizzarro” e sensibile sin quasi alla patologia, fu certamente una delle cause che lo indussero a disertare la comunità maremmana. Ma, forse, causa principale fu la qualità visiva dell’ambiente, quella vastità del rapporto tra spazio e luce che, pur costituendo in seguito il suo rovente problema nei tardi anni trascorsi al Gabbro, per ora rimaneva escluso delle sue linee di definizione linguistica. La sua “adesione” alla macchia, sensibilmente tardiva, si deve far risalire al 1861, anno in cui il pittore eseguì una serie di tavolette delle quali ci rimane il cosiddetto Trittico Grubicy: due studi pittorici di paese e uno di figura, incorniciati insieme e donati da Vittore Grubicy de Dragon alla Galleria d’arte moderna di Milano. Queste tavolette (olio su carta incollata su tavola) furono eseguite da Lega già a Piagentina, nella villa di Spirito Batelli, illuminato editore, la cui famiglia costituì il centro di affetti più attivo dell’intera vita del pittore. Per una delle figlie di Batelli, Virginia, Lega ebbe poi sentimenti particolari. Questa straordinaria relazione (che doveva tragicamente finire con la morte per etisia delle tre sorelle) determinò, dall’anno 1861, un clima di vita e di lavoro che segnò non solo la sua reale nascita artistica, ma forse anche la stagione più alta del suo linguaggio.

Ma il vero e proprio sodalizio, o “scuola di Piagentina” (come impropriamente si è sempre scritto), nacque su diretto intervento di Signorini, che da poco abitava anch’egli in zona; stabilito nello stesso 1861 un rapporto di vicinanza con Lega, eseguì con lui alcune opere nella campagna circostante. Di tali opere si son perse sinora le tracce. Resta solo un capolavoro di Lega, La raccolta delle rose. Già l’anno dopo il gruppo si allarga: con Lega e Signorini lavora sulle rive dell’Affrico Abbati; si aggiungerà subito dopo Borrani, e poi Sernesi. Signorini, nel suo scritto commemorativo di Lega, ci darà una testimonianza appassionata di questi giorni di attività laboriosa: lo “spirito di Piagentina” definisce il momento di maggior equilibrio e di raggiunta autocoscienza dopo le prime sperimentazioni della macchia, così come lo “spirito di Castiglioncello” ne segna la zona di più matura sperimentazione.

Certamente, al raggiungimento di questa straordinaria “medietas” aveva concorso anche il rinnovato entusiasmo per Daubigny e Corot, ravvivato dal viaggio di Signorini a Parigi. Ma si farebbe ingiustizia ai nostri pittori se non riconoscessimo in loro una viva tensione individuale, una volontà di chiarire se stessi attraverso la visione che comporterà quella ricerca della radice storico-lessicale toscana, quella ridefinizione di una lingua antica su rinnovati metri di conoscenza e di funzione che rinnoverà i rapporti con la pittura del Quattrocento. Sarebbe assurdo d’altra parte sostenere una reale diversità fra le opere eseguite da Abbati, Borrani, Sernesi in questo contesto e quelle dipinte dagli stessi in altri mesi dei medesimi anni a Castiglioncello. In ognuno di loro il percorso linguistico rimane ovviamente coerente in sé; cambia forse la “dominante”, per cui, soprattutto in Abbati e Borrani, il clima ottico teso che portava a una accentuazione modulare si stempererà in una visione più articolata sul filo della sensibilità atmosferica. Come in alcuni piccoli capolavori di Abbati, quali Stradina al sole o la splendida tavoletta bifronte con Veduta di un fiume e Olivi e cipressi: in questa, il “senso” del paesaggio si articola nel variare delle luci così come nelle coeve opere di Castiglioncello era fermo nel colore di smalto. Persino Sernesi, artista di notevole unità, in Grano maturo dà alla sua tavolozza un “vibrato” particolarissimo che non si avverte nel contemporaneo Albero, dipinto in Maremma.

Lega ha un arco straordinario di creatività dal 1862 al 1870, periodo che è uno dei punti emergenti di questa stagione; dopo La raccolta delle rose, un quadro come Villa Batelli lungo l’Affrico tocca già i vertici di un pieno equilibrio; Marabottini indicò quest’opera come completo prototipo dello stile leghiano maturo «con una sorta di sorgivo candore che rende le sue case vere a un tempo e simboliche, come nei disegni dei bambini». La qualità particolarissima dello stile di Lega negli anni in questione è dunque questa capacità di trasporre la realtà d’esperienza in impianti di un lirismo quasi visionario, eppur sorretti da un senso formale di contemplata classicità; un equilibrio tesissimo che può anche dar luogo a cedimenti e improvvise dissociazioni ma che, quand’è raggiunto, definisce un metro lirico tra i più originali di tutta la pittura dell’Ottocento italiano.


Silvestro Lega, Il canto dello stornello (1867); Firenze, palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna.

Telemaco Signorini, Piagentina (1862 circa); Firenze, palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna.

Giovanni Fattori, Silvestro Lega dipinge a Castiglioncello (1866). Fu Oscar Ghiglia, nel 1913, ad affermare che l’uomo ritratto da Fattori mentre è intento a dipingere sugli scogli in riva al mare è Silvestro Lega. Questi però non partecipò alle ricerche condotte a Castiglioncello dai suoi compagni del gruppo macchiaiolo ma preferì soffermarsi nella verde periferia fiorentina, in particolare a Piagentina, dove risiedeva l’amata Virginia Batelli con la sua famiglia in un villino.