I RAPPORTI
CON L’EUROPA

Il viaggio a Parigi compiuto da Signorini per vedere il Salon del 1861, in compagnia di Cabianca, di Banti e della moglie di quest’ultimo, si era rivelato determinante non solo per l’immediato futuro del linguaggio dei tre pittori (soprattutto di Signorini), ma anche per ciò che attraverso di loro si determinò nel clima culturale fiorentino negli anni immediatamente a venire.

Questo viaggio a Parigi, avvenuto ancora all’apice e forse a conclusione dei più ferventi anni di esperienze macchiaiole, si pone nella storia della pittura fiorentina dell’Ottocento come punto di partenza per una sorta di esame di coscienza, o meglio di controllo attivo, che nel giro di dieci anni doveva mutare radicalmente in quasi tutti i protagonisti non solo i modi della sperimentazione, ma la coscienza del loro far pittura.

Nel 1874, in un articolo apparso nel “Risorgimento”, Signorini scriveva: «... Così verso il 1862 questa ricerca artistica [la macchia, n.d.a.] che aveva fatto il suo tempo morì senza onor di sepoltura lasciando ai posteri un soprannome bernesco fiorentino». Il discorso è rivelatore: definiti infatti «sperimentali» gli anni della macchia con le loro esperienze positive e «realiste», lo stesso Signorini indica negli anni dopo il 1862 l’inizio di una ricerca «secondo natura» mediata per questo dai grandi pittori quattrocenteschi (Lippi, Benozzo, Carpaccio), quasi gli stessi pittori sopra i quali proprio in quegli anni si andava definendo il concetto di “Naturalismus” degli storici viennesi.

Gli anni Sessanta, dunque, si devono vedere come l’unico momento in cui insorge netta in questi artisti (isolatamente in Fattori, con rapporto relativamente dialettico in Signorini, Lega, Sernesi, Borrani e poi Cecioni) la coscienza della necessità di far scaturire dai processi di assestamento e di attiva negazione degli anni precedenti una lingua pittorica nazionale, adatta alla coscienza della nuova borghesia dell’Italia unita e in essa funzionante in una sua dialettica perfino polemica con l’antico. Finalmente gli “antichi” potevano ritrovare senso in questa loro mediazione “naturale”, in questa sincerità lessicale e visiva, in questo peso esatto, nettissimo, delle sensazioni e dei sentimenti che sembrava unire il borghese terriero fiorentino con l’antico borghese terriero e bancario del Quattrocento.

In questi anni, dunque, se Fattori raggiungerà forse i livelli massimi della sua parlata breve ma di originalità assoluta, se Lega (con opere come Il canto dello stornello o La visita) segnerà il punto più alto di questa coscienza storica mediata sull’antico, sarà proprio Signorini, più disponibile alle avventure culturali e sensibilissimo alle mutazioni di livelli della società committente, ad assumere una fisionomia di guida, ufficializzata dai suoi scritti e dalla sua polemica attiva sul “Gazzettino delle arti” (l’organo dei non più giovanissimi artisti fiorentini). È singolare che in questi stessi anni Signorini inizi la stesura della Sala delle agitate nel manicomio di San Bonifacio, il suo primo quadro oggettivamente di sentore naturalista e di impegno umanitario, opera che, nella sua complessa struttura, obbliga il pittore a un continuo ricorso metrico agli “antichi”. È questo una sorta di quadro “civile” ricco di una sua ufficialità di contenuti che Signorini ripropone (con una titubanza che farà ritardare di anni l’esecuzione) alla rinnovata storia d’Italia al posto dei contenuti di convenzione civile, religiosa e perfino storica sopravvissuti sino alla decadenza del romanticismo. D’altra parte il clima culturale, anche quello del “Gazzettino”, rendeva possibile tale operazione.

Alla Promotrice del 1867, Giovanni Boldini espone per la prima volta a Firenze alcuni di quei piccoli ritratti (certamente il cosiddetto Intenditore d’arte) che determineranno un episodio nodale negli assestamenti e nelle dubitazioni della già incanutita coscienza macchiaiola. Sono piccoli ritratti di amici e colleghi, colti con rapidità di taglio ed esattezza di pennellata nel loro ambiente di casa o di lavoro.


Giovanni Boldini, L’intenditore d’arte (1862-1866 circa); Firenze, palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna.

Telemaco Signorini, La sala delle agitate nel manicomio di San Bonifacio (1865); Venezia, Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro.