GLI ULTIMI ANNI
DI LEGA, SIGNORINI
E FATTORI

Signorini, subito dopo la sua virata “naturalista” dei grandi quadri di interno con figure, nei primi anni Settanta giunge a risultati particolarmente notevoli.

Realizza un quadro bellissimo, Il muro bianco, chiuso in una puntigliosità ottica che forse stabilisce un rapporto “a freddo” con il soggetto, ma che si porrà in altri quadri successivi come elemento generante di una visione misurata e trattenuta ancora al di qua della registrazione descrittiva. Sono questi gli anni in cui il pittore, alla ricerca non solo di una nuova dimensione culturale ma anche di nuovi e più proficui sbocchi di mercato, frequenta spesso a Parigi gli amici Boldini e De Nittis. I risultati sono spesso di eccezionale qualità, ma il “passo” del pittore rimarrà fermo e anzi, alla fine degli anni Settanta, in opere come Una via di Ravenna e la prima versione del Ponte Vecchio, accentueranno ancora la frattura tra l’intensità della visione e quell’eccesso decrittivo presente da sempre nel suo fare.

D’altra parte, questa prolungata incapacità di rinnovamento coincide con un momento di generale flessione della vita culturale fiorentina (e, per altri versi, italiana). Sono questi gli anni in cui a Firenze appare ormai definitivamente perduta quella coscienza di continuità culturale che era patrimonio specifico dei nostri pittori sino al 1870. Morti Abbati e Sernesi, ormai definitivamente in Francia Boldini, De Nittis, De Tivoli e Zandomeneghi, tornato dalla Francia D’Ancona (ormai incapace di svolgere il suo raffinato discorso internazionale), i maggiori tra i sopravvissuti sembrano dubitare della propria realtà storica. Lega tacerà per quattro anni iniziando, con la morte di Virginia Batelli, quel periodo di violente tensioni interiori e psichiche, di crisi morali e fisiche che lo segnerà sino agli ultimi anni. Anche la fortissima personalità di Fattori mostrerà, in alcune tavolette da lui dipinte nel 1875 e subito dopo, una concessione a quest’aura mondana di gusto internazionale: sono di questo tipo i quadretti dipinti a Fauglia (dov’è ospite della famiglia Gioli), come Vallospoli e la Signora in giardino.

Ospite anche lui dei Gioli a Fauglia e poi dei Tommasi (agiati livornesi residenti a Bellariva di Firenze), Lega nel 1878 ricomincia a dipingere. Il suo allievo e amico Adolfo Tommasi lo ha presentato alla famiglia degli zii, i cui due figli, Angiolo e Lodovico, diverranno suoi allievi e, in un primo momento, addirittura suoi adepti. A partire dagli splendidi ritratti dello scultore Rinaldo Carnielo, Francesco Gioli e Luigi Tommasi il linguaggio leghiano si andrà sempre più raffinando, culminando in quei capolavori che sono In giardino e Ritratto di Eleonora Tommasi. Si tratta in effetti di un processo “intenso di rinnovamento”. La consueta leggera frattura tra impianto disegnativo dell’opera e sua realizzazione pittorica è finalmente saldata. Ciò che maggiormente seduce in queste opere è la perfetta coincidenza che tali immagini hanno con il periodo storico in cui vengono realizzate.

Lega trovò nei Tommasi una sorta di alveo familiare non così coinvolgente come quello dei Batelli, ma sufficientemente vivo perché egli potesse trovare nuovo equilibrio. Ne sortì perfino una rinata forza polemica che lo vide a capo, per lo meno nelle discussioni, di quella nuova schiera di giovani pittori toscani (da Nomellini a Kienerk ad Angiolo e Lodovico Tommasi) che, incerti ancora tra tradizione, riforme naturalistiche e orecchiamenti impressionisti, tentavano di ridar vita al sopore e al conformismo culturale della capitale toscana.

Fra Bellariva, Fauglia e Crespina (località vicino Pisa dove avevano ville stagionali i Tommasi e i Gioli), con sempre più numerose soste al Gabbro, vicino Livorno, ospite della contessa Bandini, Lega trascorre gli ultimi anni della sua vita incapace, nella sua inquietudine di uomo solo, di trovare concentrazione creativa al di fuori di un nucleo di affetti che difendesse la sua fragile sensibilità. Tele come Sul prato, che raffigura Eleonora Tommasi nella sua villa di Samprugnano (oggi Semproniano, in Maremma), presentano un rapporto tra notazione narrativa, intensità emotiva e risalto luminoso del tessuto coloristico veramente esemplare.

Nell’ultima stagione leghiana, dopo il 1885, i paesaggi del Gabbro, tra Castelnuovo della Misericordia e Castiglioncello, dove Lega si recava sempre più spesso ospite dei Bandini, rispetto a Bellariva e Crespina hanno una luce più ampia. In questa luce, la vista ormai alterata del pittore riesce a individuare un clima particolare che sottende tutte le tele di maggior livello. La vastità dei paesaggi si apre in un risalto a volte frammentato da una sorta di risentita stenografia, come se lo sforzo ottico per rinsaldare i volumi causasse quasi delle smagliature di retina entro le quali la pennellata d’ombra ribatte le macchie di sole: come nei bellissimi Pagliai al sole, nel Paesaggio del Gabbro, nella mirabile tavoletta Alla villa di Poggio Piano, variata sulla dominante orizzontale della siepe.


Silvestro Lega, La signora Clementina Bandini e le figlie a Poggio Piano (1887).

Telemaco Signorini, Il muro bianco (1866 circa).

Silvestro Lega, Ritratto di Rinaldo Carnielo (1878).