IL SALON
DEI REPROBI

Nel febbraio del 1863, la galleria Martinet presenta quattordici tele di Manet tra cui la Musica alle Tuileries, Lola de Valence, la Cantante di strada.

È una levata di scudi generale, salvo rare eccezioni. Le reazioni, non solo negative, ma anche scandalizzate, hanno conseguenze sul suo invio al Salon: tutte le sue opere vengono respinte. Ma Manet non è l’unica vittima della vendetta di un’implacabile giuria: Jongkind, Harpignies, Courbet, Dorè, e molti altri, vengono colpiti dalla parzialità di un regolamento che li consegna, mani e piedi legati, a una consorteria di membri dell’Istituto. Gustave Doré ed Édouard Manet presentano una petizione al Ministro delle belle arti. Invano. Nel frattempo, l’imperatore viene informato della moltitudine di istanze presentate dagli artisti esclusivi: va di persona al Palazzo dell’industria un mese prima dell’Esposizione e decide, contro il parere della sua cerchia, di creare un Salon-Annexe (“Salone annesso”) e nello stesso edificio. Il 15 maggio, quasi settemila persone presenziano al vernissage. La critica si scatena: si parla di «Salon dei vinti» (Ernest Chesneau), di «Salon dei proscritti» (Pellorquet), di «Salon dei reprobi» (Thoré-Bùrger), di «Salon dei paria» (Louis Leroy), di «Salon delle croste» (Pharós); e si usano i termini più insultanti per qualificare le milleduecento opere del Salon dell’imperatore. Tre uomini si trovano nell’occhio del ciclone: Gustave Courbet, presente nei due Salon, Whistler, che fa ridere i curiosi con Sinfonia in bianco n. 1: la fanciulla bianca e, naturalmente, Manet.

Tre tele di Manet sono così lasciate in balìa della curiosità malevola della plebe: il Giovane uomo in costume di “majo”, Mademoiselle Victorine in costume d’Espada e quella che allora si chiama Le Bain e che passerà ai posteri col titolo di Déjeuner sur l’herbe (Colazione sull’erba). La visita di Napoleone III fa sì che attorno a quest’ultima opera si scateni la polemica, come ricorda Antonin Proust: «Quella sosta davanti a un quadro che aveva suscitato critiche violente, prese le proporzioni di un avvenimento nella Parigi dell’epoca. I cortigiani si chiesero se lo dovessero ammirare, ma la loro esitazione fu breve dal momento che la corte imperiale aveva dichiarato il quadro un’offesa al pudore». Ma è pur vero che se gli spiriti benpensanti s’indignano rumorosamente, gli osservatori della stampa specializzata si dividono in due campi. Manet ha persino numerosi difensori: Desnoyers afferma che si annuncia un talento originale e Zacharie Astruc pensa che egli sia «il lustro, l’ispirazione, il gusto piccante, lo stupore» del Salon. Théodore Duret può così concludere: «Manet diventa di colpo il pittore di cui si parla maggiormente a Parigi! Aveva contato su questa tela per guadagnarsi la notorietà, ma il tipo di reputazione che gliene deriva, non è tuttavia quella alla quale ambisce [...] una fama di rivoltoso, di eccentrico. Passa allo stato di reprobo. Tra lui e il pubblico si istaura una profonda spaccatura che lo manterrà in uno stato di lotta continua per tutta la vita».


Colazione sull’erba (Déjeuner sur l’herbe) (1863), Parigi, Museé d’Orsay.

Colazione sull’erba (Déjeuner sur l’herbe) (1863), particolari; Parigi, Museé d’Orsay.