IL LOUVRE
PERSONALE

Dopo questa brillante azione, Manet pensa a un nuovo nudo, per il prossimo Salon ben diverso dal Bain. Lo inizia, ma lo lascia da parte.

Ha in mente due quadri, che progrediscono più in fretta. Il primo è Episodio di combattimento di tori, creazione ambiziosa dove appare, nella parte bassa della tela, un torero completamente sdraiato; più lontano un altro torero spiega la sua muleta, aggrappato alla barriera; un terzo torero aspetta, in disparte, immobile, quasi estraniandosi dall’azione; e, a un’estremità, un piccolo toro nero si sta slanciando. Il secondo quadro che affronta è un Cristo morto. Ma l’artista, non contento della sua tauromachia, la ritaglia e ne salva due parti che diventeranno Toreri in azione e il Torero morto e che invia alla giuria insieme al Cristo morto con due angeli. Essendo cambiato il regolamento, dopo il movimentato episodio del Salon des Refusés (“Salone dei rifiutati”), non ha problemi a essere accettato. L’accoglienza fatta alle due tele non è certo esaltante. Il Torero morto provoca l’ilarità della critica benpensante. Il “Journal Amusant” ironizza: «Giocattoli spagnoli accomodati alla maniera di Ribera dal Sig. Manet y Courbetes y Zurbaran de las Batignolas». E Edmond About, autore del Roi de la montagne, fa ridere i lettori parlando di un «torero di legno ucciso da un topo». Tuttavia, è soprattutto Cristo morto con due angeli che solleva l’indignazione generale. Il buon Théophile Gautier non sa contenere collera e riprovazione: «in questo Cristo, il lividore della morte si unisce a ombre sporche e nere che la resurrezione non potrà mai nettare»; la Vie parisienne menziona un «povero minatore tirato fuori dal carbone e giustiziato per M. Renan». Baudelaire, che si è ritirato a Bruxelles in esilio, prende la penna per difendere il pittore accusato da Théophile Thoré di imitare piattamente Velázquez, Goya, El Greco: «Manet, ritenuto pazzo furioso, è semplicemente un uomo molto leale e molto semplice, che fa tutto il possibile per essere ragionevole».

Manet ha dichiarato sfacciatamente: «Il Salon è il vero campo di battaglia. È lì che bisogna misurarsi». Fa fronte ai lazzi e sa anche che ogni volta riesce ad accattivarsi nuovi alleati. È con questa disposizione d’animo che prepara un quadro ancor più provocante, il famoso nudo da lui annunciato: Olympia.

Durante il viaggio in Italia, Manet aveva fatto una copia della Venere di Urbino di Tiziano. Essa gli fornisce la struttura globale dell’opera. Realizza, tuttavia, anche uno schizzo dalla Maja di Goya che intitola Giovane donna in costume spagnolo. È la seconda influenza riconosciuta. Questo riferirsi a Goya è d’altronde confermato da un ritratto dell’amante di Baudelaire, Jeanne Duval, nel quale la mulatta è lascivamente sdraiata sul sofà, con il viso sgraziato che emerge da un ampio vestito bianco. L’artista ha meditato a lungo su questo progetto. In un disegno preparatorio, la donna, è sdraiata, completamente nuda e la si vede mentre accarezza un gatto; poi, in una sanguigna, il gatto è rannicchiato contro la coscia della donna, per la quale posa Victorine Meurent; più tardi viene aggiunta una negra bene in carne, con un madras in testa, che presenta un grosso mazzo di fiori avvolto nella carta; il gatto, da parte sua, inarca la schiena.

Fino alla versione definitiva, l’Olympia è concepita in un’ottica spassionata, strettamente formale. Manet vi dimostra tutta la sua destrezza e l’amore innato per l’equilibrio, la purezza del tratto, il colore dalla armonie lievi: insomma, tutto quello che, secondo il pubblico, egli tenta di abolire. Appena afferra i pennelli e si pianta davanti al cavalletto, Manet concepisce inevitabilmente un’opera dalla sensualità inebriante, aggressiva e ambigua. E questa febbrile sensualità è resa urtante dalla fattura ardita, sgradevole, pressoché cruda.

Questa volta, nelle sale stracolme del Salon, come riferisce Paul de Saint-Victor, «la folla è stipata come all’obitorio, davanti alla corrotta Olympia!». Tutti si chiedono, insieme a Jules Clarétie: «Cos’è quest’odalisca dal ventre giallo, ignobile modella pescata chissà dove e che rappresenta Olimpia». L’emozione raggiunge l’apice: l’Olympia è il “caso” dell’anno 1865. Non c’è nulla in questo quadro che non vada contro le idee e l’etica dell’epoca. Insomma, come scrive Judith Walter, che altri non è se non la figlia di Théophile Gautier, «l’Esposizione ha il suo buffone... Tra tutti gli artisti, è lui l’uomo che si mette a far capriole e a mostrare la lingua... Manet potrebbe veramente far scuola». La polemica è innescata.


Cristo morto e due angeli (Le Christ mort et les anges) (1864); New York, Metropolitan Museum of Art.

Torero morto (1863-1864); Washington, National Gallery of Art.

Vignetta satirica dell’Olympia, apparsa anonima sul “Journal Amusant” (27 maggio 1865).


Olympia (1863); Parigi, Musée d’Orsay.