L’incontro
con Brancusi

Con questo bagaglio alle spalle, con quella sua linea ancora incerta tra stilizzazione spiritualistica, contaminazioni klimtiane e risentita umanità lautrechiana, Amedeo Modigliani ha i due incontri fondamentali della sua vita: da un lato Brancusi e la lezione primitiva, da un altro lato l’opera di Cézanne.

Attraverso queste scoperte il giovane livornese fonda e consolida il proprio linguaggio.
È con tali presupposti riflessivi che potrà muoversi con sicura originalità e autonomia in quel crogiolo di Montparnasse in cui non era facile costruirsi una bussola né mediare con l’ambiente. Valga per tutte la presenza incalzante di Picasso.
Il capitolo Brancusi, e soprattutto il rapporto d’interesse con la scultura primitiva, è un capitolo da rivedere ampiamente.
Sembra sia stato il dottor Paul Alexandre a presentare Modigliani a Constantin Brancusi. È anche assodato che proprio Brancusi confortasse Modigliani, che a questo proposito forse mostrava già una sua precisa volontà, nella convinzione di dover fare scultura con il procedimento “a levare”: evitando, in altre parole, la malleabilità della creta e della cera, per ritornare invece alla durezza del marmo e delle pietre, casomai al legno.
Brancusi, già nel 1907 (si veda Testa di ragazza) aveva superato i modelli rodiniani, semplificando in fase riduttiva i volumi, tanto da lasciar trasparire una sorta di purificazione.
Esemplare, a questo proposito, Il bacio del 1907-1908. Per certi aspetti debitrice a Figura accovacciata di Derain, l’opera dello scultore romeno mostra di essere giunta alla prima maturazione teorica della “scultura diretta”, il che significava un “attacco” alla materia senza alcuna mediazione di modelli antecedenti, né traduzioni di questi in altri materiali: procedimento tipico del bronzo e della stessa scultura in marmo, nel caso in cui essa fosse eseguita, su commissione, da laboratori specializzati a seguire il modello dell’artista. Brancusi riabilitava, dunque, l’emozione della materia; ma nello stesso tempo promuoveva un approccio con essa sviluppato a livello mentale, chiave di volta di una sublimazione che ne facesse lievitare la tensione e la primitiva energia. E non vi è dubbio che in tutto ciò giocarono un ruolo non trascurabile le forme chiuse delle arti tribali. Se Amedeo Modigliani aveva dunque bisogno di rafforzare le proprie convinzioni verso la scultura e di trovar loro una più precisa traiettoria linguistica, aveva in Brancusi lo stimolo necessario allo scopo. L’amicizia e la frequentazione tra i due fu delle più felici. I relativi studi erano quasi comunicanti, e certo Brancusi sentiva lo scalpellìo di Amedeo in quel cortiletto di cui la poetessa Anna Achmatova ci parla nei suoi diari. Il rapporto di Modigliani con Brancusi si presenta dunque in discreta trasparenza. È invece più problematico il ruolo che dovette avere per lui l’arte primitiva. Poteva vederla da Brancusi, da Vlaminck, al Trocadero. Si è soliti attribuire a Vlaminck il merito di avere per primo sottolineato l’interesse per l’“arte négre”, nonché divulgato l’immagine nel milieu artistico parigino. La cosa è stata spesso contestata, ma resta il fatto che Vlaminck si era costruito in quegli anni una discreta collezione di quei “reperti”. È abbastanza noto l’aneddoto secondo il quale Vlaminck, trovandosi per caso tra le mani una maschera africana, la mostrasse subito a Derain: «È bella come la Venere di Milo», affermò Vlaminck. «No», esclamò Derain, «è bella quanto la Venere di Milo». «È più bella della Venere di Milo», sentenziò Picasso qualche tempo dopo. Aneddoti e leggende a parte, l’arte primitiva cominciò a muovere l’entusiasmo e la riflessione del mondo artistico proprio tra il 1905 e il 1906. Non che non fosse prima conosciuta. Lo era già nell’Ottocento, ma solo in quegli anni l’arte sentì un’ulteriore e diffusa esigenza di rapportarvisi. Ogni artista a suo modo; peraltro, per molti di loro si trattò più di un clima che di una vera infiltrazione nel linguaggio. Valga per tutti proprio il caso di Vlaminck, il quale fu attratto solo e soprattutto dalla violenza cromatica (infatti le prime sculture da lui acquistate furono delle Yoruba dipinte con accesa policromia); qualcosa di simile può essere affermato per Derain, che guarderà più a reperti precolombiani. Diverso invece il problema per Picasso e Modigliani.


Testa femminile (1911-1912); Londra, Tate Gallery.

Maschera Guro, proveniente dalla Costa d’Avorio (XIX-XX secolo).